Il libro di Maurizio Sulig, pubblicato ad aprile 2017 e presentato a Cagliari e a Sassari lo scorso giugno, propone un’attenta riflessione sul mestiere delle armi in un paese che sta smarrendo se stesso. Il giornalista e scrittore Carlo Figari* partendo da una panoramica sull’attuale momento storico illustra, per il nostro giornale online, il pamphlet di Sulig, vice comandante della Brigata SASSARI dal 2009 al 2014, che affronta senza reticenze il discorso sul presente e futuro dell’Esercito italiano. Una voce fuori dal coro della pubblicistica ufficiale e specialistica, quella di Sulig, che non teme di andare controcorrente. L’occasione per approfondire la discussione sui grandi cambiamenti in atto nello scenario nazionale e internazionale e, soprattutto, sul significato di essere militari oggi in un paese come l’Italia.
presentazione del libro a cagliari,
sede della fondazione di sardegna. carlo figari a colloquio con maurizio
sulig
nel
riquadro l'autore di "soldati tra la polvere", maurizio sulig, e
il direttore di "con la brigata sassari", paolo vacca
UN MONDO IN EBOLLIZIONE
Amore e odio. Storia e mito. Patria
e onore. Sono questi i sentimenti che l’Esercito ispira in ogni
italiano, pronto a elogiare i nostri militari salutandoli come eroi e
invocandone l’intervento per risolvere ogni problema, ma altrettanto
rapido a cambiare parere secondo il periodo e l’ideologia. Si applaude
all’intervento per missioni di pace all’estero e di sicurezza interna in
chiave antiterroristica e contro la criminalità urbana (anche se non è
questo il compito istituzionale), ma quelle stesse voci si uniscono ai
cori antimilitaristi, alle richieste di tagliare i fondi per le Forze
Armate (meno missili, aerei, navi e più soldi per salute e welfare) e
alle manifestazioni per chiudere poligoni, basi e caserme. Dall’ultimo
dopoguerra ad oggi il rapporto tra italiani ed Esercito è vissuto su
queste contraddizioni, con una classe politica ambigua e ondivaga
più attenta a cavalcare gli umori del momento che alle necessità contingenti
dettate dalle strategie mondiali e dai bilanci dello Stato, e alle
situazioni storiche in costante evoluzione.
Il vecchio Esercito e le vecchie Forze Armate nel complesso, così come
erano nate con la Repubblica sugli
ideali della Resistenza e del nuovo paese libero e democratico, non
esistono più, se non nella Carta istituzionale, essendo cambiata
l’Italia ma, soprattutto, il mondo con gli scenari politici e strategici
che oggi conosciamo, quali la lotta al terrorismo fondamentalista, i
pericoli del nucleare in mano a potenze minacciose e incontrollabili
come la Corea del Nord, le guerre infinite in Afghanistan, Iraq, Medio
Oriente, Africa settentrionale e Maghrebina, e la ridistribuzione delle
alleanze internazionali. Oggi personaggi come il presidente Trump e il
nuovo “zar” Putin hanno fatto saltare il tavolo dei vecchi equilibri
stabilitisi nel Terzo millennio sulle ceneri dell’ex Urss e della
divisione del mondo tra i due blocchi, quello Atlantico con gli Usa al
vertice degli alleati europei e della Nato e dall’altra il blocco dei
paesi dell’Est sotto l’egemonia di Mosca. L’America di Trump se ne va
per proprio conto con una inedita politica isolazionista, l’Europa sta
ancora cercando una nuova autonomia continentale con una Nato
ridimensionata e l’esigenza di impegno crescente nel Mediterraneo
occidentale, la Russia ritrova il suo spirito imperialista, mentre
emergono le altre superportenze planetarie come la Cina e l’India, a cui
si accodano le mire di Iran e dei ricchi Paesi arabi. Insomma, un gran
calderone brucia sotto i piedi del mondo e tutti ci domandiamo cosa ci
attende per il prossimo decennio.
soldati
italiani e bimbi afghani
LA SARDEGNA E LE STELLETTE
Ebbene, in questo contesto si inserisce la riflessione sulle nostre Forze Armate e sull’Esercito chiamato a muoversi e ad affrontare i nuovi scenari. Nel nostro piccolo della Sardegna possiamo vedere lo specchio di un dibattito mai finito che si alimenta proprio sulle contraddizioni di cui abbiamo parlato all’inizio. Così vediamo esaltare il mito della Brigata SASSARI, oggi chiamata ad operare con i suoi uomini nelle missioni all’estero che, insieme alle altre Armi, costituisce la più importante industria dell’Isola, distribuendo oltre diecimila buste paga tra militari e indotto. E nello stesso tempo assistiamo a continue manifestazioni antimilitariste per chiudere i poligoni di Teulada e Perdasdefogu. Vogliamo cacciare le stellette dal nostro territorio, ma quando se ne vanno - come a La Maddalena - la Marina americana e gran parte della Marina italiana, restano mille abitazioni sfitte per un turismo incapace di decollare e di dare lavoro stabile per tutto l’anno. Da una parte si vogliono sbaraccare le caserme, dall’altra si chiede l’intervento dei soldati per fermare incendiari, piromani e la criminalità organizzata nell’interno. Da una parte si grida per chiudere la fabbrica tedesca di mine di Domusnovas, dall’altra l’amministrazione civica fa quadrato per evitare i licenziamenti degli operai, così come avviene poco distante per l’aeroporto militare di Decimomannu ormai in fase di smobilitazione, mentre protestano le decine di lavoratori che operano nella base. Per non parlare delle navi militari che oggi non arrivano più non solo a La Maddalena, ma soprattutto nel porto di Cagliari declassato da Comando Autonomo Marittimo a base logistica di “serie di B” e dipendente dal Comando di La Spezia. Sino a pochi anni fa per ogni esercitazione e per diversi mesi arrivavano a rotazione decine di unità grigie delle varie Marine della Nato, riversando in città migliaia di marinai che andavano ad affollare i ristoranti e le vie dei rioni storici. Oggi è molto se al molo della Marina militare attracca qualche pattugliatore. Per fortuna dell’economia locale ci sono le navi da crociera che hanno dirottato su Cagliari le tappe cancellate del Nord Africa per i pericoli del terrorismo.
pattuglia italiana in afghanistan
IL NUOVO ESERCITO
In questo quadro confuso e contradditorio, dicevamo, si inserisce il discorso sul Nuovo Esercito, così come sta uscendo nei piani del Ministero della Difesa. Gli obiettivi fissati parlano di riduzioni (in pratica tagli) e di ristrutturazione in ogni settore, dal numero dii uomini, reparti e mezzi, all’utilizzo strategico nei vari campi in Italia e all’estero. Così riaffiorano le voci che, in questa fase di ridimensionamenti e accorpamenti, possa essere tagliata anche la gloriosa Brigata SASSARI. Questo perché il programma di potenziamento della SASSARI che puntava a completare la Brigata con un reggimento di cavalleria corazzata, logistico e di artiglieria, per un totale di quasi cinquemila uomini, è è sospeso a causa delle virulente esternazioni e prese di posizione - di forze minoritarie, ma senz'altro rumorose - componenti del panorama politico sardo, e quindi le risorse previste sono state dirottate verso altre Brigate.
IL LIBRO DENUNCIA DI SULIG
Quale sarà il futuro dell’Esercito,
ma soprattutto quale presente? Cosa pensiamo e cosa vorremmo dai nostri
militari in grigioverde? A queste domande risponde il generale giuliano
Maurizio Sulig in un interessante libro uscito di recente per le
edizioni Eclettica. Il titolo già dice molto a riguardo: “SOLDATI TRA
LA POLVERE, il mestiere delle armi in un paese che sta smarrendo se
stesso” (156 pagine, 14 euro).
"Mi sono messo a scrivere pensando soprattutto a miei soldati
impolverati, di cui ci si ricorda quasi solo quando tornano a casa
avvolti in una bandiera: credo che meritino che qualcuno provi a dire
cos’è davvero la loro vita e a sottrarli allo stereotipo dell’eroe e del
mercenario. E che provi a dirlo ai cittadini di questo assurdo, amato
Bel Paese del quale sono al servizio, anche se sembra che di loro non
sappia cosa farsene e che fra particolarismi, campanilismi ed egoismi
sta smarrendo se stesso", così dice Sulig nell’introduzione,
dichiarando subito la filosofia del libro che nasce dal cuore,
dall’amore per la divisa e per tutto ciò che essa rappresenta, dallo
spirito di patria e dagli ideali che lo hanno spinto a fare questo
mestiere di sacrificio e di pericoli.
Ma è anche una riflessione fredda
e critica, fatta dal di dentro e quindi da chi conosce bene i problemi
della macchina, senza fare sconti a nessuno. Neppure a se stesso. L’
Autore dichiara questi limiti, non si risparmia un’autocritica, ma alla
fine cerca di andare oltre per mandare un messaggio ai giovani che già
indossano la divisa o che sognano di mettere le stellette. "Entrare
nelle Forze Armate - sottolinea in sintesi Sulig - non è solo un
modo per trovare un’occupazione sicura in tempi difficili per tutti in
ogni settore, ma è sposare un’idea di vita e di condividere ideali
comuni e inossidabili che ci giungono proprio dalla nostra storia e dal
passato". Senza queste certezze - dice - non c’è presente e non ci
sarà futuro.
maurizio sulig a camp arena, la sede del
comando del regional command west a herat
UNA VITA IN GRIGIOVERDE
Maurizio Sulig, triestino, 59 anni,
ex ufficiale di artiglieria, ha lasciato l’Esercito dopo quasi
quarant’anni di servizio, più della metà passati al comando di reparti,
contingenti nazionali e internazionali. In particolare ha trascorso tre
anni in operazioni di pace nell’ex Jugoslavia e in Afghanistan, è stato
addetto militare in Germania, vicecomandante della Brigata SASSARI e
Direttore del Centro Studi sulle Post-Conflict Operations dell’Esercito.
Oggi vive a Silandro, in Alto Adige. Un curriculum che parla da solo
riguardo alla competenza tecnica e all’esperienza professionale. Se fa
una critica, nel suo libro, si può contestare l’opinione, ma non certo
il fatto in questione. Le pagine del pamphlet pongono una riflessione a
360 gradi e sono un contributo prezioso sul dibattito in corso riguardo
all’ideazione e realizzazione del “Nuovo Modello di Difesa”.
L’aspetto biografico è importante e ovviamente non si può sdoppiare lo
scrittore dall’ex ufficiale. Ma lo stesso Sulig sgombra il campo da ogni
equivoco sostenendo che nessuno possa pensare che "me ne sono andato
nutrendo qualche forma di rancore nei confronti dell’Esercito. Non è
così. Ho amato e amo l’Esercito, ho seguito una via in cui ho creduto ed
in cui credo ancora molto. Questo libro nasce da alcune
cosiderazioni molto semplici. La prima è che, con la sospensione della
leva, in un’Italia che è sempre meno Nazione, sono sempre di più le
persone che non hanno un’idea chiara dell’Esercito, di cosa l’Italia ne
stia facendo, di quali siano i valori ai quali dovrebbe rifarsi un
militare per essere un soldato e non solo un portatore sano di uniforme,
di cosa significhi scegliere il mestiere delle armi nel XXI secolo",
scrive l’ Autore nell’introduzione.
Sulig è passato da un Esercito organizzato in chiave antirussa alle
missioni Nato per stabilizzare la pace nei Balcani e per contrastare i
talebani che vogliono mantenere l’Afghanistan nel Medioevo più cupo. "Ma
quello che non è cambiato - afferma - è la diffusa insofferenza
degli italiani verso i loro soldati. Il più delle volte, a dir tanto sopportati, raramente compresi e accettati. A essere giusti -
sottolinea - anche il motivo per cui i militari suscitano
riprovazione è cambiato: dall’essere contestati in quanto hanno deciso
di vestire l’uniforme all’essere contestati in quanto mercenari
imperialisti. A ciò si accompagna (senza deflettere dal mantra del 'no a
basi, poligoni, esercitazioni') l’invocazione dell’Esercito quale
rimedio ad ampio spettro per contrastare la criminalità, arrivando a
chiedere persino il ritorno al servizio di leva per sopperire alle
carenze delle famiglie e della scuole nell’educazione delle nuove
generazioni. Questi atteggiamenti hanno poi come denominatore comune
- aggiunge Sulig - il fatto che quando si parla dell’Italia lo si fa
come se non fosse una cosa seria e a molti pare impossibile che siano
esistiti uomini e donne per cui l’Italia era un ideale che valeva la
vita e per cui 'viva l’Italia' furono le ultime parole".
DEDICATO AI GIOVANI
Per questi autentici eroi Sulig
scrive il libro, perché qualcuno provi a ricordare quanto sia
costato fare l’Italia e quanto siano costate le libertà che diamo per
scontate e di cui purtroppo spesso abusiamo. E dedica il suo lavoro "a
quei giovani delle nuove leve intenti a muovere i primi passi e a
cercare la propria strada in una vita di cui, come me alla loro età,
hanno una visione indefinita e idealizzata". L’ex comandante di
missioni in prima linea, non certo il burocrate del Ministero, ha deciso
di mettersi al pc per scrivere queste pagine pensando soprattutto a suoi
"soldati impolverati" dei quali ci si ricorda quasi "solo
quando tornano a casa avvolti in una bandiera; credo che meritino che
qualcuno provi a dire cos’è davvero la loro vita, che qualcuno provi a
ridare un volto e una voce e a sottrarli allo stereotipo dell’eroe e del
mercenario".
Quello che ne è venuto fuori, dunque, non è un volume di memorie, né un
lamento sui bei tempi andati, o un libro rivolto ai militari. E’ un
libro per i civili, per coloro che dell’Esercito e dei suoi soldati non
hanno conoscenza e anche per coloro che non si sentono attratti dai
soldati, ma vogliono cercare di capirli.
E’ anche un ragionamento su cosa significhi oggi fare politica
geostrategica con i soldati, dal punto di vista di chi quelle politiche
si trova ad essere strumento e una riflessione sulle responsabilità, sul
dovere, sul servizio, che può essere letta anche come una lezione di
educazione civica. Per questo vale la pena leggerlo con attenzione e,
ulteriore pregio, si legge tutto d’un fiato. Sulig affronta molti temi,
dalla storia all’attualità, dall’organizzazione alle missioni
all’estero, dalla figura del militare nell’immaginario collettivo alla
dura realtà dell’avamposto con gli uomini imbiancati dalla polvere. Ma è
contro la retorica delle commemorazioni che l’Autore si sofferma,
criticando una certa cultura revisionista che, in occasione delle
numerose ricorrenze, dà la stura "a pretese controstorie a base di
ufficiali sadici e incompetenti, fucilazioni di massa, assalti in punta
di baionetta di fantomatici carabinieri, equipaggiamenti inadeguati e
poco rispetto per i sacrifici affrontati dai nostri vecchi, i miei nonni
fra di loro, per il loro coraggio, la loro disciplina".
I FAKE DELLA STORIA
Sulig analizza una serie di episodi evidenziati da questa storiografia “alternativa” che sembrano quei “fake” usciti da internet e diventati notizie vere a furia di essere ripresi e citati senza verifiche. Per esempio impera la leggenda dei carabinieri schierati dietro le truppe mandate all’assalto. A riguardo Sulig replica che "l’Arma contava appena 40 mila uomini a fronte di 5 milioni 500 mila militari mobilitati, impensabile dunque che potessero far paura ai soldati nelle trincee". E’ pure un mito denigratorio quello degli ufficiali al sicuro mentre i soldati andavano a morire: solo la SASSARI ebbe 188 ufficiali caduti combattendo e 359 feriti. Come è una “bufala” la tesi - basata sul minor numero di caduti fra gli Ufficiali in servizio permanente - che vuole gli ufficiali di carriera, grazie a una fantomatica circolare di Cadorna, al sicuro nelle retrovie lasciando agli ufficialetti di complemento i comandi di prima linea: "Basta vedere i numeri per cestinare una tale strana e strampalata affermazione visto che gli ufficiali di carriera furono 32 mila e quelli di complemento 153 mila, compresi i richiamati".
fob columbus, bala mourghab - tiro di
controbatteria con i mortai dopo attacco insurgents
LA LEGGENDA NERA DI CAPORETTO
"Oppure - scrive Sulig -
prendiamo la leggenda della rotta, della fuga, dello sciopero militare
di Caporetto: ma se davvero si trattò di fuga, diserzione in massa,
sciopero militare, dopo un ripiegamento di 150 km, come mai dopo due
settimane dallo sfondamento quegli stessi veterani stanchi fermavano sul
Piave e sul Grappa in combattimenti furiosi e ostinati, gli
austroungarici imbaldaziti dal successo? Trovo offensiva per la memoria
dei nostri nonni l’immagine di pecore tremebonde mandate a morire da
pazzi sadici che fucilano a destra e a sinistra e che alla prima
Caporetto disponibile buttano il fucile e se la danno a gambe levate.
Continuo a non capire come siano riusciti a fermare gli austriaci dodici
giorni dopo".
A proposito di Caporetto, il prossimo ottobre 2017 l’anniversario della
battaglia sarà il momento per riesaminare il mito della sconfitta per
cui quel toponimo è entrato nella lingua comune come sinonimo di
disastro, disfatta, ritirata, etc. Già un importante volume pubblicato
dallo storico friulano nonché editore specializzatio sulla Grande
Guerra, Paolo Gaspari, ha confutato quella tesi. Il suo monumentale
“Le
bugie di Caporetto, la fine della memoria dannata” (prefazione
di Giorgio Rochat, seconda edizione giugno 2017, pagine 680, con
centinaia e di schizzi e mappe inediti) spazza via una storiografia nata
nel periodo fascista e sedimentata sino alla fine del secolo scorso, per
proporre sulla base di documenti, anche austroungarici, una nuova
verità. E cioè che Caporetto non fu un ritirata confusa e disastrosa, ma
un ripiegamento inevitabile in quei giorni difficili, che consentì di
salvare l’Esercito e di preparare la decisiva riscossa.
in afghanistan
un balzo indietro nel tempo
COMANDI SPIETATI
Ancora Sulig si sofferma su un altro mito, riguardante la spietatezza dei nostri Comandi, ed evidenzia che furono circa tremila le sentenze di condanne a morte emanate dai Tribunali di guerra, di cui 750 eseguite. Per quanto concerne le esecuzioni sommarie si stimano 300 casi senza processo, di cui cinque casi appaiono ingiustificati e tre per cui non si doveva procedere. Dati della relazione voluta dal Capo di Stato Maggiore generale Armando Diaz che sono in linea con i numeri dell’Esercito francese (650 fucilazioni), mentre si contano 351 casi tra gli inglesi e “appena” 150 condanne a morte sentenziate nel rigido e disciplinato Esercito imperiale germanico. Riguardo agli ammutinamenti i casi documentati sono cinque e riferiti sostazialmente alle Brigate CATANZARO e RAVENNA, per contro su 112 Divisioni che costituivano l’Esercito francese si contarono 68 ribellioni che interessarono 35 mila uomini.
attività cimic
in un villaggio afghano
MISSIONI DI PACE
Dalla storia all’attualità. Sulig racconta le missioni per il mantenimento della pace ("ognuna è diversa") dal di dentro sottolineando che "la missione di chi opera nei capisaldi e negli avamposti ha poco in comune con quella di chi presta servizio nei Comandi". Le stanze dei bottoni sono ben altra cosa, pullulano di Ufficiali Superiori impegnati dai ritmi di briefing, aggiornamenti, gruppi di lavoro, progetti, rapporti, verifiche, riunioni, visite, spesso agitate dall’arrivo di politici e di giornalisti. E’ un mondo in cui dialoghi surreali a base di acronimi incomprensibili e difficili da memorizzare sembrano avere un senso compiuto: "La cosa inquietante che è proprio così". Dall’altra parte c’è il popolo del contigente di supporto con meccanici, tecnici, armieri, esperti di tecnologie, medici, infermieri, magazzinieri, cuochi e lavapiatti che consentono alla macchina di muoversi ogni giorno, linfa vitale per i soldati chiamati a svolgere i quotidiani compiti di perlustrazione, sminamento, vigilanza, scorta e azioni di tutti i tipi su un vasto e pericoloso territorio che si estende tra le basi e gli avamposti nell’intera zona sotto il controllo italiano. Quegli “uomini nella polvere” (a cui si aggiungono gli aviatori su aerei ed elicotteri, i carabinieri impiegati nel servizio di sicurezza e investigazione, i marinai sulle navi) a cui Sulig dedica il libro e molte pagine nelle quali si descrive il duro lavoro tra pericoli di mine, attacchi improvvisi e attentati.
le donne hanno
fatto il loro ingresso nelle forze armate 16 anni fa
LE DONNE IN DIVISA
Sono molti gli spunti di
riflessione che emergono in appena 156 pagine, ma non possiamo
chiudere senza citare il capitolo riguardante le donne: “Penelope va
alla guerra”. Sulig ricorda che quando entrò in Accademia alla fine
degli anni Settanta parecchie cose potevano sembrargli inverosimili. Il
collasso del Patto di Varsavia, il passaggio a Forze Armate
professionali, gli Alpini campani ... e le donne nell’Esercito. "Appartengo
a una generazione per la cui psicologia la combinazione donne e mestiere
delle armi non è semplice da accettare. Oggi faccio outing senza
vergogna: non tanto per aver visto con qualche perplessità l’arrivo delle
donne nell’Esercito, quanto sul modo in cui veniva proposto e sul come
viene gestito. A distanza di 16 anni dall’ingresso nelle Forze
Armate - osserva l’ Autore - manca qualsiasi studio organico e
sistematico del Ministero della Difesa relativo alla condizione
femminile in uniforme. L’iconografia ufficiale le propone carine,
sorridenti: non dico delle Camo-Barbie, ma delle versioni meno mascoline
di Demi Moore-Soldato Jane sì".
"E’ difficile trovare una fotografia ufficiale che trasmetta la
fatica, il sudore, le mani sporche, le unghie con il lutto degli
avamposti e si continua a propagandare un’immagine della soldata liscia,
carina, patinata, insistendo sulla femminilità e non sulla
professionalità. Di molestie e discriminazioni non si parla mai e, visto
che non se ne parla, il problema non sussiste. Mi piacerebbe che fosse
così, ma visto quello che succede nelle Forze Armate di altri
Paesi, mi sembra difficile che non esista il problema nel nostro Esercito.
Ci si stupisce e fa notizia, dunque, una donna pilota di elicottero o
di blindato o al comando di plotone all’estremo nord dell’area di
responsabilità italiana in Afghanistan, nel mezzo del nulla, che ha
fatto molto bene il suo lavoro. Perché - continua Sulig -
ci siamo forse dimenticati di Maria Plozner Mentil, di Paola
del Din e delle altre 18 donne con la medaglia d’Oro al Valor Militare
assegnato loro in gran parte alla memoria per il sacrificio nell’ultima
guerra e nella Resistenza? A queste indimenticabili eroine vanno
aggiunte tre donne soldato impegnate in Afghanistan: nel 2006 a Kabul
venne ferita Pamela Rendina, mitragliere di blindato Puma; a Mangan nel
2010 è stata la volta di Maria Cristina Buonacucina, guastatore del
Genio, con conseguenze più gravi; e poi il caporal maggiore scelto dei
Bersaglieri Monica Contrafatto che nel 2013 a Buji perse la gamba destra
per causa di combattimento. Ebbene, la prima è rientrata in servizio, la
seconda ha scritto un libro sulla sua lotta per ricominciare a vivere e
la terza, transitata nel Ruolo d’Onore, opera a favore di altri feriti e
dei loro familiari, partecipando con successo ad attività sportive
paraolimpiche (ai giochi di Rio nel 2016 ha vinto una medaglia di
bronzo). Quando fra 5-6 anni dovremmo vedere le prime comandanti di
battaglione spero che siano loro affidati reparti di linea e non qualche
reparto di servizi".
la più
evocativa, forse, fra le tante immagini dei nostri soldati in missione
CONTRO LE IPOCRISIE
Maurizio Sulig termina il suo libro
con un’invocazione rivolta a tutti affinché si esca dall’atavico
equivoco di considerare l’Esercito secondo le convenienze politiche del
momento. "O si dice chiaramente che non è altro che un ammortizzatore
sociale con 100 mila buste paga, oppure si ritiene che non è ancora
arrivato il momento in cui si potrà fare a meno delle Forze Armate,
affermando senza vergogna e timidezza per non scontentare i potenti al
governo, che la Difesa è una funzione essenziale dello Stato e che come
tale va trattata".
Il generale giuliano ha gettato una pietra nel
dibattito, di sicuro a qualcuno le sue pungenti parole non piaceranno e
neppure le analisi tecniche e storiche, ma è proprio questo lo scopo di
scrivere un libro utile. Se non altro da premiare il coraggio di puntare
il dito contro l’ipocrisia imperante e contro i luoghi comuni.
CARLO FIGARI
*carlo figari, giornalista e scrittore, già vicedirettore del quotidiano “L’Unione Sarda” e docente a contratto nell'Università di Cagliari, è autore di numerose pubblicazioni, tra le quali "Leopoli, il mistero dell'armata fantasma" (1995), "El Tano. Desaparecidos italiani in Argentina" (1999), e "Dalla linotype al web. I quotidiani sardi dalle origini ad oggi e l'avventura di Video on line" (2014). Nel 1998 ha vinto il Premio Saint Vincent per un servizio televisivo dedicato ai désaparecidos sardi in Argentina. Ha svolto il servizio di leva come ufficiale di complemento nella Marina Militare e ha effettuato, come addetto alla Pubblica informazione, una campagna per la protezione del mare a bordo di Nave "Amerigo Vespucci".
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