Gli Autori

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Il Glorioso TERZO

 

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25 FEBBRAIO 2012

Era una fredda serata primaverile quando andai a ritirare il referto di una biopsia, contro ogni previsione arrivò la diagnosi che non avrei mai voluto sentire. Tumore al seno, uno dei più aggressivi.Incredula e con sguardo smarrito cercavo di ascoltare il primario che amorevolmente mi spiegava la situazione. Non sapevo da che parte iniziare, la mia vita aveva preso una brutta deviazione, ma non potevo nemmeno piangermi addosso, dopo due giorni c’era la tanto attesa presentazione di un mio libro; dovevo essere lucida, e nessuno doveva sapere della mia malattia perché non volevo che mi trattassero in maniera diversa. Tempo qualche giorno e feci il mio ingresso all’ospedale oncologico, ero spaesata e cercavo di non osservare le persone che mi stavano accanto, non volevo vedere i loro sguardi, la loro sofferenza mi spaventava. L’incontro con il primario e con il personale mi ha rasserenato, non mi sono sentita un numero, uno dei tanti da operare, tutto lo staff è stato squisito. Il primario ascoltava incredulo le mie “richieste”. Avevo già programmato una serie di servizi fotografici per i mesi successivi, e il mio desiderio più grande era quello di poter onorare gli impegni presi, sia per una questione di rispetto delle persone coinvolte, sia per tenermi impegnata e non pensare alla malattia e a tutto l’iter che mi aspettava.Hanno compreso le mie esigenze, hanno capito che il lavoro era la mia forza, la mia salvezza dal baratro in cui molte persone purtroppo cadono in queste situazioni. Ho subito due interventi, tra un reportage e l’altro. Nonostante i punti e il dolore volevo scattare le mie fotografie. Nonostante i 6 cicli di chemioterapia e i 30 di radioterapia ero sempre in giro per i miei reportage. Dai concerti ai servizi in barca, dai servizi di cronaca a quelli istituzionali. Dovevo tenermi impegnata il più possibile per non pensare alla malattia, dovevo sfinirmi con il lavoro che ho sempre svolto con molta passione. Non ho potuto realizzare tutti i reportage che mi venivano in mente, uno tra questi riguardava proprio laBrigata Sassari che anche nel 2009 si trovava in Afghanistan, la mia chemioterapia ha purtroppo coinciso con la loro missione. Era un desiderio, anche se non ero sicura di essere all’altezza della situazione e di avere il coraggio di partire veramente. Ma si sa, quando una cosa ti viene impedita di fare, desideri fortemente farla. Desideravo poter raccontare l’operato dei militari, il loro coraggio, la vita dei soldati della Brigata Sassari, perché noi sardi abbiamo un legame forte con la nostra terra. Naturalmente era impensabile poter partire nel mio stato, e quindi il reportage sulla Brigata Sassari in missione è rimasto un mio desiderio, un mio sogno nel cassetto. Sono passati solamente due anni dalle mie terapie e i sassarini sono nuovamente in Afghanistan, ho deciso quindi di attivarmi per richiedere l’accredito come embedded. La mia domanda è stata accolta, il sogno nel cassetto si è avverato e a febbraio sono partita, ho vissuto 10 giorni a contatto con i sassarini. In Afghanistan ho incontrato persone stupende, orgogliose di indossare la divisa e di prendere parte alla missione ISAF (International Security Assistance Force). Sei mesi lontano dalla famiglia e dagli affetti sono sicuramente difficili, ma i sassarini sono tra loro molto uniti e affiatati, sono una seconda famiglia; questo rende sicuramente più semplice il trascorrere delle settimane. Ormai da oltre dieci anni anche le donne fanno parte delle Forze Armate Italiane, ma suscitano nei media ancora tanta curiosità. Molte di loro però preferiscono stare nell’ombra, non amano farsi fotografare ne intervistare, non amano le “pressioni” dei giornalisti. Non vedono la loro professione così eclatante, è per loro una scelta di vita, in fondo come chi decide di fare il medico o il reporter. Le donne arruolate sono giovani, molte sono single e chi è già sposata lo è generalmente con un collega. Ammettono che la vita militare è complessa, difficile da capire e condividere, ritengono che un compagno militare possa essere più comprensivo e in grado di capire le dinamiche della vita in divisa. Alcune sono già mamme, e con il grosso supporto dei papà che restano in Italia cercano di far pesare ai figli il meno possibile il distacco; le nuove tecnologie come Skype e le video chiamate aiutano sicuramente. In fondo una mamma al fronte desta stupore solamente in Italia, perché non si è abituati all’idea che un genitore possa stare lontano da casa per diverso tempo, cosa che negli altri stati avviene ormai da anni. Le soldatesse sono coraggiose, determinate e sicure di se. Alcune hanno padri o fratelli arruolati nelle Forze Armate Italiane, altre, come Chiara Aldi, sono invece i primi militari di famiglia. Ormai sia in patria che nei teatri operativi gli incarichi femminili sono i più disparati. Chiara Aldi è la mamma di Camp Arena, il suo ruolo è mission monitor dei Predator; Gaia Gullo è il medico al servizio del PRT (Provincial Reconstruction Team); Pamela Sabato pilota i Mangusta; Giovanna Mula guida i lince; Alessia Marongiu è al CIMIC; Angela Carta si occupa della mensa di Farah; Simona Meloni è la mamma del PRT e si occupa della segreteria del comandante, Colonnello Giacinto Parrotta; Martina Salis è al PRT insieme al marito Ivan; Carla Scalas, la trombettista della banda della Brigata sta negli uffici del comando di Camp Arena; Valeria Serra è la responsabile della produzione e sviluppo; Annalisa Iannetta è il direttore editoriale di Radio Bayan West; Clea Tirino è al PRT;Chiara Peretti e Manuela Moi fanno parte del FET (Female Engagement Teams); Valentina Papa è un pilota del 14° Stormo dell’Aeronautica Militare. L’Afghanistan è un teatro operativo molto difficile, sia per la complessa conformazione geografica, che per la diversità religiosa e culturale. La presenza del personale militare femminile diventa quindi molto importante in un contesto come questo. Le soldatesse del FET incontrano le donne afghane, ascoltano le loro esigenze al fine di realizzare dei progetti che consentano un miglioramento delle loro condizioni sia nel contesto famigliare che sociale. Donne e uomini devono impegnarsi allo stesso modo ma, per ovvie diversità caratteriali, le donne sono più predisposte allo svolgimento di alcuni incarichi. L’interazione e la complementarietà del personale femminile con quello maschile permettono un intervento mirato sui diversi fronti rendendo così più agevole il raggiungimento degli obiettivi che la missione si è prefissata. Lo staff di Radio Bayan West si occupa delle trasmissioni radiofoniche affiancando e formando giornalisti e giornaliste afghane. Il palinsesto, rivolto esclusivamente alla popolazione locale, prevede news, rubriche e approfondimenti che vengono diffusi nelle lingue sia pasthto che dari. Al team dello PSYOPS sono invece affidate le “comunicazioni operative”, ovvero quell’insieme di attività volte a consolidare la fiducia della popolazione locale nei confronti dei contingenti militari impegnati nella missione ISAF. Le comunicazioni avvengono sia con l’ausilio dei tradizionali mezzi di comunicazione, che attraverso la diffusione di messaggi tramite gli altoparlanti, il lancio di volantini o di messaggi televisivi e radiofonici. Tutte le comunicazioni vengono accuratamente studiate affinché la popolazione possa agevolmente comprenderne il messaggio, i testi vengono quindi affiancati da simboli o immagini facilmente riconoscibili. Nella mia breve permanenza in Afghanistan volevo raccontare il lavoro dei nostri sassarini, ma allo stesso tempo era anche una sfida con me stessa, volevo portare una piccola testimonianza alle donne che come me hanno affrontato o stanno affrontando il tortuoso percorso di un tumore, perché nonostante le dure terapie e gli strascichi che esse lasciano, non bisogna arrendersi mai, bisogna lottare e credere sempre in se stessi. Un medico sosteneva addirittura che il merito della guarigione era per il 50% merito dei farmaci e per il restante 50% merito della nostra forza di volontà, e a me questa, per fortuna, non è mai mancata. Il tumore ci costringe a prendere una piccola deviazione della nostra vita, una via un po’ tortuosa, ma con grande stupore ci si può risvegliare e rinascere anche più forti di prima. Io la mia battaglia spero di averla vinta, mi auguro che anche i nostri militari vincano la loro. La loro non è però una battaglia ma una missione di pace, il loro compito infatti è quello di cooperare e affiancare il governo afghano al fine di riportare la sicurezza su tutto il territorio permettendo anche la ricostruzione e il miglioramento delle condizioni di vita di tutta la popolazione. Allora non mi resta che dire….FORZA PARIS!
                                                                                                    ELISABETTA LOI

 

ELISABETTA LOI

AFGHANISTAN

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