LUIGI MOI PROMOSSO MAGGIORE

Gli Autori

SILVIA AMADORI

MASSIMILIANO CARBONI

ROSSELLA LAQUALE

ELISABETTA LOI

NICOLO' MANCA

LUIGI MOI

VALENTINA MURA

DEBORA MUSU

EBE PIERINI

ALBERTO PINNA

MARIO PINNA

OLIVIERO PLUVIANO

MAURIZIO SULIG

PAOLO VACCA

 

Speciali

 

 

Il Glorioso TERZO

 

SLIDESHOW

 

 

 

 

 

"SALUTO DI FINE MISSIONE"

CAGLIARI 1 APRILE 2012 - E’ dunque da qui, dalla nostra amata Sardegna che si scioglierà il nostro gruppo… ma con esso non si chiude la nostra amicizia, quella che ha legato persone accomunate da una stessa sorte e che hanno sofferto assieme per lunghi mesi. La nostra amicizia continuerà ad andare avanti perché ciò che abbiamo fatto gli uni per gli altri è cosi importante che non può essere perduto ne dimenticato. Ora che le bandiere sono tornate a casa, la missione è davvero giunta al termine e l’ansia e le preoccupazioni hanno lasciato spazio ad abbracci incontenibili.
Credo di rappresentare il pensiero di tutti i miei colleghi, dicendo che il rientro a casa potrà essere assaporato appieno solamente con il passare del tempo, ancora sono molto intensi i ricordi di ciò che abbiamo vissuto, ed è importante che essi restino tali, perché qualunque cosa facciamo di prezioso nella vita cambia la vita stessa ed è proprio la lucidità dei ricordi a permetterci di apprezzare ancor meglio ciò che abbiamo ritrovato al nostro rientro. Da oggi non vedremo più polvere e fango, non ci saranno più allerte e ansia, non più le aride colline della valle…ma da oggi non ci sarà più nemmeno il veder bambini sorridenti rincorrere i mezzi, il cielo più limpido del pianeta, l’amico Bruno che ti attende al rientro…ogni luogo porta con se ricordi splendidi e altri velati di tristezza…noi li abbiamo vissuti e descritti perché anche voi poteste assaporarli attraverso i nostri occhi, perché anche voi, agli antipodi del mondo poteste provare almeno in parte le nostre sensazioni.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il vostro aiuto…mi sento di ringraziare Paolo e ognuno di voi dal più profondo del cuore, siete stati tenaci e incrollabili come ognuno dei soldati che ha preso parte alla missione e simbolicamente la medaglia che tintinnerà nelle nostre uniformi a ricordo di ciò che è stato dovrebbe essere appuntata al cuore di ognuno di voi…siate benedetti… alla prossima avventura…
                                                                                    CAP. LUIGI MOI  (151° FTR)
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LE MERAVIGLIE AFGHANE:
PRIMULA MACROPHYLLA

13 dicembre 2011 - Nelle lande ad oriente si eleva imponente la catena montuosa dell’ Hindu Kush, gli Afghani la chiamano “Il tetto del Mondo”. Non sorgono villaggi ne vi è spazio per le greggi in quei luoghi, essendo essi tra i più inospitali al mondo. Il solo respirarne l’aria affanna i polmoni, a causa della rarefazione provocata dall’altitudine. Le vette sono sovente spazzate da fortissimi venti, per otto mesi all’anno le bufere di neve infieriscono impietose e il cielo è oscurato perennemente da dense nebbie. Ciò che resta agli occhi al giungere di una timida e breve estate è solamente una terra spoglia e arida che lascia allo sguardo una triste desolazione. Ma anche qui, dove per la vita ogni luce parrebbe spegnersi, si riscopre una creatura dalle caratteristiche straordinarie. La Primula Macrophylla è un piccolo fiore di colore violaceo che si rende piacevole per il suo gradevole ricordo di campagna e primavera. Vi è però qualcosa oltre la bellezza che rende questa creatura un simbolo meraviglioso di ciò che è l’amore per la vita: il suo bulbo la contiene per i lunghi mesi invernali che iniziano in settembre, quando il sole non ha più la forza di opporsi al gelo e la terra tutto attorno pare diventare pietra. E’ il principio dell’abisso invernale. A ottobre non un filo di terra ha più il suo originale colore, il ghiaccio e la neve hanno sepolto ogni cosa e il bulbo si cela al buio in attesa di un lontano giorno di primavera. Da novembre a maggio la furia degli eventi è devastante. Venti inarrestabili scagliano piogge di ghiaccio sulla terra martoriata, accanendosi senza sosta sulle rocce e su pochi coraggiosi licheni. Il bulbo lotta con tutte le sue forze per non cedere, lotta ogni istante per proteggere la vita che contiene dentro di se. La primavera fatica ad arrivare e a maggio le nevi si attardano ancora sulle piane. Quando finalmente giunge giugno la furia si placa e la terra si libera dal ghiaccio restituendo alla superficie un pantano fangoso che si estende a perdita d’occhio. Da tanta desolazione lentamente si ridesta il bulbo, liberandosi dalla sua prigione, ed è in questo giorno che esso diventa un miracolo. Se avesse avuto anima di uomo sarebbe da credere che l’accanirsi degli eventi sulla sua esistenza lo avrebbero portato alla frustrazione, all’odio e alla follia, che esso avrebbe maledetto la terra sotto i suoi piedi e ancor più il destino avverso. Il bulbo non è però carne umana ne umano spirito, ed esso si comporta nella maniera che più commuove di stupore, ripaga le torture della terra restituendole un fiore meraviglioso, che spunta solitario e silenzioso a dare gioia al triste suolo nei brevi giorni d’estate. Esso inizia a brillare quando ogni altra luce si sarebbe spenta, alza il capo mostrando la sua bellezza al cielo quando ogni altra creatura si sarebbe arresa. L’ esistenza di questa creatura è un simbolo, il simbolo di come sia possibile rendere splendida la propria vita e quella di chi ci sta attorno laddove si abbia la forza di inseguire la propria strada prescindendo dalle avversità da affrontare per percorrerla. E’ in questo stesso meraviglioso spirito che ogni soldato dovrebbe sentire dentro di se il senso della sua presenza in una terra cosi difficile ed è lo stesso spirito che dovrebbe essere nell’animo di chiunque nella propria vita senta di avere una missione…
                                                                                            CAP. LUIGI MOI  (151° FTR)

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CUORE DI CANE
Bruno, il cane soldato, in una foto di quando era in "servizio" a Bala Murghab. Alla fine dell'anno scorso soldati italiani hanno ceduto la FOB all'Afghan National Army e hanno portato con se Bruno e la sua compagna Chiara. Dopo il periodo di quarantena a Herat, i due cani sono arrivati in Italia e ora sono ospiti dell'ENPA a Perugia. Bruno ha un proprio profilo Facebook con quale mantiene quotidiani contatti con i suoi amici.

9 dicembre 2011 - La prima volta che vidi Bruno fu durante il periodo che trascorsi a Bala Morghab ai tempi della missione passata. Altro non era che un cucciolo buffo e impacciato, di poco più grande di una scarpa, con il viso appena squadrato e gli occhi buoni. Non aveva nessuno, forse la mamma era morta poco dopo la sua nascita, ed egli era abbandonato a se stesso. Viveva dunque in una postazione avanzata assieme ai nostri soldati, ed essi aveva imparato a riconoscere come amici e come famiglia. Gli animali sono stati sempre delle mascotte per gli Eserciti, specialmente i cani, perché per loro indole essi paiono integrarsi nel gruppo a cui appartengono assumendone le caratteristiche, nel nostro caso, seppur curioso da immaginare, essi si comportano come fossero dei piccoli fanti abili ed arruolati. Non nego lo stupore che ho provato, ritornando agli inizi di settembre, nel ritrovare il vecchio amico, che avevamo salutato due anni orsono, ancora al posto di combattimento. E’ adesso un gran cane, pur perennemente coperto di fango e sporcizia mostra un aspetto vigoroso e fiero e le sue zampe sono possenti e sicure. Bruno non ci abbandona mai. Quando i nostri soldati muovono in fila verso il paese lui li segue, quando essi partono dentro ai mezzi lui si incammina dietro il convoglio, se usciamo a raccogliere i rifornimenti che arrivano dal cielo lui partecipa alla cornice di sicurezza.
Quando era ancora piccolo gli afghani gli hanno spezzato le zampe ed è probabilmente questo il motivo che lo porta a ringhiare ferocemente nel momento in cui uno di essi gli compaia alla vista, come se avesse memorizzato odori, modi di vestire o fisionomie di chi gli ha fatto del male. Non un lamento o un sussulto di paura si levano dal suo muso se ad avvicinarsi è qualcuno che indossi una mimetica, che sia italiano o americano. Tutti noi gli vogliamo un gran bene, nel passargli accanto non ci si dimentica di chiamare il suo nome o elargirgli una carezza e tutti gli avanzano del cibo se qualcosa resta nel piatto. Va poi a sdraiarsi sotto ad un container al riparo dal freddo e dalla pioggia, uscendone quando comprende che qualcuno sia in procinto di varcare la soglia della base, per ritornarvi solamente a lavoro ultimato. E’ grande il cuore dei cani, perché trabocca gratitudine e generosità in quelle che sono le loro azioni, fa sorridere il vedersi recapitare da un animale più sostegno di quello che a volte giunga dagli uomini. Le missioni iniziano, crescono con tante storie e vicende e si spengono trascinandosi dietro i ricordi di lunghi mesi. Il nostro amico ne lascerà tanti nel cuore di molti di noi e sarebbe un conforto se un giorno dovessimo tornare in questa terra incontrandolo ancora una volta per una nuova avventura…
                                                                                                 CAP. LUIGI MOI  (151° FTR)

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CRONACHE D'INVERNO

7 novembre 2011 - Abbiamo trascorso una piacevole domenica di primavera. A mezzodì il sole era cosi intenso da rendere fastidioso il calore anche con una semplice maglietta indosso, cosa non comune in questo periodo dell’anno. Nella giornata di lunedì striature scure hanno iniziato a infittirsi nel cielo, sintomo di un imminente cambiamento. Un orrido freddo dal nord ha trascinato nella valle masse di aria gelida dal vicino Turkmenistan le quali, incanalandosi nelle gole, si sono riversate con scrosci di fredda pioggia sui villaggi del Morghab. A sera il freddo era feroce mentre il tepore del giorno prima restava solamente un ricordo. La pioggia si è tramutata a breve in aghi di ghiaccio che hanno gelato i ciotoli e la sabbia. La temperatura è crollata in pochissime ore e l’aria densa ha riversato una violenta bufera di neve che ha sepolto la vallata in poche ore. Per tutta la notte ha continuato con gran furia e tuttora non accenna a placarsi. Le tende vacillano sotto il peso del ghiaccio e i riscaldatori sono quasi sommersi. Anche al prezzo di tanti disagi è bello vedere tutto attorno ammantato di bianco, la neve è un piacere per gli occhi, ovunque ci si trovi, ma mi rammarica il pensiero dei nostri ragazzi che gelano nelle postazioni avanzate e ad esso si aggiunge il dispiacere per i tanti bambini qui fuori che non hanno scarpe e i cui piedini potrebbero gelare se esposti a queste intemperie. La nostra missione di oggi potrebbe essere il cercare di fare qualcosa per loro… Dalla valle incantata del Morghab un abbraccio da tutti i Sassarini.
                                                                                         CAP. LUIGI MOI  (151° FTR)
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"LA MIA AFGHANISTAN"
La missione 2009-2010 nel ricordo
dI UNO DEI protagonisti

Herat 13 Marzo 2010 -…A voi, piccoli angeli dal muso di fango,
                                      A voi che oggi muovete ancora con passo incerto
                                      Che nella primavera della vita ancora sognate
                                      Che di speranze si rischiari il vostro cuore
                                      Che i rombi di guerra tramutino in melodia
                                      Che le lacrime asciughino al bacio del sole
                                      Che non sia mai buia la strada che inseguirete…

E’ straordinaria prerogativa degli uomini quella di riuscire a trasportare gli accadimenti delle loro esistenze dal complesso al semplice, cosi da poterne rendere accessibile a tutti il significato che essi vi intravedono. Avviene in questo modo che una serie di esperienze lunghe e articolate, come quelle vissute da un soldato nel perdurare delle sue missioni nei più remoti angoli del mondo, possa essere ridotta ad un unica densa giornata. Nasce oltre un alba di fine estate la prima pagina di questo paziente e duro cammino, vissuto per ogni attimo della sua lunghezza con l’intensità di cui è capace solamente chi si porge all’ignoto senza provare paura nel lasciarsi indietro il resto della sua vita. Uno spicchio di sole si impenna alle spalle delle montagne del Cagliaritano, irraggiando la piana come il calare di un torrente, quasi a conferma di un nuovo inizio, scandito dalla cosa più naturale e più cara a coloro i quali sanno amare, l’ultimo bacio alla madre prima di affrontare l’incerto. Sono occhi gonfi di emozione quelli con i quali ella cerca di scolpire nella mente la tua immagine raddolcita da un sorriso velato di malinconia, occhi scavati da un peso che oggi non è più solo quello degli anni, poiché cela senza riuscirvi le pene che segnano chi ti ama ma sa nell’animo di non poter dividere con te il tuo fardello, non questa volta. Un ultimo sguardo di commiato dice più di quanto potrebbe la più cara parola e quando volto gli occhi abbandonando i suoi il sole si è già lanciato nell’immenso dei cieli.
Mi riempiono ora la vista le lande brulle e impervie dell’Afghanistan, che solo vagamente rappresentano il ricordo delle nostre amate montagne, se non fosse per la muta solitudine che ne scandisce i millenni. Distese di pietre rossastre e aride, crepe nei polverosi sentieri di argilla squarciati da un calore spossante, poche piante temerarie a difendere la loro dura esistenza lamentando acqua alla terra. In mezzo a questi piatti e sconfinati altipiani, incastonate e quasi nascoste alla vista, in perfetta simbiosi con il paesaggio, ecco emergere in piccoli agglomerati le misere dimore di poveri contadini. Mi portano a ricordo i nostri nuraghi, come essi imponenti e immobili, a farsi beffe degli oceani del tempo, semplici e incrollabili, non vedo la loro durevolezza come un semplice caso, poiché ciò che costruisce l’uomo è saldamente legato alla portata del suo animo e tanto gli afghani quanto i sardi discendono da civiltà avvezze alla durezza della vita ed essi hanno forgiato la creta e il granito, la paglia ed il fango con la stessa tempra che gli scorre nelle vene. E’ difficile trovare parole adatte a descrivere l’emozione del contatto con gli abitanti di questi luoghi. Laddove vi sia l’occasione di scambiare con essi qualche istante durante le distribuzioni di aiuti di prima necessità ciò che balza immediatamente all’occhio è la regale compostezza degli anziani.
Non hanno un’età gli uomini di questa terra, simili a esseri delle favole, coperti da solchi nel viso che parrebbero richiedere un era di questo nostro mondo per segnare cosi profondamente un volto, le loro lunghe barbe incolte acuiscono, se possibile in maniera ancora più decisa, questa loro immagine atavica. I loro occhi trasudano spossatezza, la fatica di una vita che chi porta a termine nell’ inverno degli anni può certamente dire di aver vissuto da uomo vero, sotto costanti tormenti, guerre incessanti, miseria e malattie. Ma a compensare il senso di pena che sale al cuore al loro cospetto vi è l’altro lato della vita a commuoverci di piacevole emozione, innumerevoli, incontenibili piccoli angeli. Alcuni di essi hanno occhi di un chiarore intenso come il ghiaccio siberiano e i musi perennemente sporchi di fango esprimono tutte le emozioni dello scibile umano, è nei visi di questi bambini la chiave della nostra missione, poiché in un lontano giorno essi incroceranno nuovamente i nostri, da amici, oppure da combattenti e tanto di ciò che accadrà domani dipende da quanto siamo in grado di creare di positivo oggi. Rientrando verso l’accampamento il panorama scorre rapidamente davanti agli occhi, distorto dai possenti vetri dei mezzi blindati, ovunque intorno la vita prosegue con i suoi immutabili ritmi, scandita solamente dal susseguirsi delle giornate. Il sole è allo zenit quando il sinistro suono di una sirena scuote ogni angolo della base, agghiacciante come un grido di disperazione, paralizzandoci per un istante, rendendoci simili a statue ma con udito felino, in attesa di comprendere quale evento nefasto stia per annunciare la gelida voce dell’altoparlante. Affretto il passo quasi a volerlo spingere alla velocità del cuore, mentre la tromba inesorabile sentenzia l’imminenza di un volo che dovrà levarsi per andare la fuori, in mezzo a un nulla solamente apparente, a recuperare una vita che lentamente si spegne.
Più di tutte una cosa si palesa nelle nostre menti vivendo questa realtà, l’inestimabile e troppo sovente sminuito valore della nostra esistenza. La gustiamo ogni momento in questa terra sfortunata, mentre attraversiamo i deserti o solchiamo i cieli, mentre ci concediamo un sorriso o ci abbandoniamo alla notte, ogni istante della vita qui assume un senso, poiché tanto improvvisa risulta la mutevolezza degli eventi da rendere il tempo più prezioso del diamante. Quando il destino spalanca le porte è il suono della sirena a portarne l’infausto messaggio, giungono cosi talvolta i giorni dello sconforto e della tristezza, dove ognuno di noi si sente rappresentante dell’anima di coloro i quali ci lasciano lungo il cammino. E allora ci riuniamo, uniformi di ogni angolo del mondo, davanti a un'unica bandiera, divorando lacrime in silenzio al cospetto di una sorte che ci priva di coloro ai quali vogliamo del bene, uomini che hanno diviso con noi gioie e sofferenze in questo cammino, uscendone all’improvviso senza che potessimo tendergli la mano. E raccogliamo i ricordi scolpendoli nel cuore per posarci sopra una nuova pagina di speranza che ci faccia rialzare e riprendere la strada. E’ giunto il meriggio quando a bordo di un elicottero attraverso fiumi e monti per approdare nell’ estremo nord del paese. Morghab. Ha un suono sinistro il solo pronunciare questa parola, il fiume che serpeggia verso il confine, tagliando in due una vallata meravigliosa, circondata da colline dolci e coperte di un erba fittissima durante la buona stagione. Purtroppo come la bellezza dei serpenti anche quella offerta da questo luogo remoto è solamente la faccia apprezzabile di una medaglia il cui lato nascosto racchiude innumerevoli insidie. La nostra base avanzata è proprio li, addentro alla piana, in un terreno che pioggia e neve tramutano in una massa poltigliosa e impercorribile durante l’inverno, mentre la terribile arsura estiva polverizza in un tappeto di finissima sabbia che spazzata dal vento annebbia la vista.
Il gelo è vivissimo in questa giornata e perfino con il sole alto nel cielo tutto attorno è ghiaccio, scricchiolante come vetro al contatto delle suole. E’ in questo luogo che forse più di ogni dove si fa sentire il peso della durezza della missione, benché lo spirito che si è creato tra coloro i quali vi dimorano lo rendano allo stesso tempo moralmente accogliente. Si resta necessariamente incuriositi, percorrendo la strada del bazar del villaggio, dall’incalcolabile quantità e varietà di prodotti esposti nelle sordide botteghe dei venditori locali. Carni di animali macellati poste a frollare penzolando da una porta, grosse ceste di spezie variopinte davanti a una bancarella, carriole di frutta secca, masserie, sacchi di tela grezza ricolmi di farina e una formidabile calca di uomini e bambini che con disarmante pacatezza sostano innanzi alle loro merci incuranti di dover trovare qualcuno desideroso di acquistarle. Questo sarà uno dei ricordi più preziosi che riporterò a casa, il poter contemplare la serenità nell’affrontare lo scorrere della vita, l’ammirevole condotta di coloro i quali, bisognosi di guadagnare solamente ciò di cui necessitano per sopravvivere, disdegnano la frenesia del dover perseguire qualsivoglia obiettivo che non sia necessario e la stessa lentezza con cui alzano la mano per rivolgerti un cenno di saluto indica chiaramente come qui il tempo non sia moneta ricercata. Ma in mezzo a tanta calma apparente è comunque fondamentale avere cento occhi, che scrutino ovunque tra la terra e il cielo, poiché è impressionante la rapidità con la quale una giornata di quiete possa tramutarsi in una trappola nello spazio di un istante. La tensione logora, logora l’anima più di ogni cosa, questo è il motivo per il quale in questo luogo il fardello della missione accentua il suo peso, benchè anche qui il tempo scorra inesorabile. Il sole ridiscende lentamente verso l’orizzonte quando la potenza degli elicotteri scuote le tende della base alzando un polveroso vortice mentre si librano in cielo, rivolgendosi a sud, per il viaggio di ritorno. Dai portelli spalancati posso vedere il panorama volteggiare tutto attorno mentre saliamo con i movimenti a spirale del volo tattico prima di sorvolare le catene di monti, lasciandoci dietro luoghi che ogni uomo dovrebbe avere l’occasione di poter ammirare e mi convinco, sentendo il cuore avvolto di speranza, che un giorno questo potrà veramente accadere.
E’ oramai sera e il tramonto infuoca il cielo di Herat mentre osservo con lo sguardo volto all’orizzonte il morire di questa giornata. Nel silenzio del crepuscolo echeggiano in lontananza i canti di preghiera dei Muazzin, simili a lamenti, allo stesso tempo inquietanti e affascinanti. Si intravedono le prime stelle della volta celeste tempestare l’oscurità e lontano, ma infondo non cosi tanto, anche il cielo sopra casa brilla con la stessa intensità. Cosi penso alla cara Sardegna, dove oramai sopraggiunge la primavera e i mandorli colorano di rosa le valli, mentre nei monti la neve ancora si attarda, nascosta nell’ombra delle foreste. A un tratto queste terre sembrano cosi simili, fatte di volti, di pietre, di profumi ed emozioni che solamente il caso o forse la follia hanno destinato a sorti cosi diverse. Vedo nei sorrisi dei bambini che giocano nella polvere quella stessa allegria che trapela dai nostri figli, che si rincorrono nelle viuzze rivestite di ciottoli degli antichi paesi di Barbagia, la celestiale compostezza delle donne coperte dai burqa rispecchia il serio contegno delle nostre madri avvolte negli abiti scuri e chiuse in preghiera, provo per i vecchi seduti sul ciglio delle strade di argilla la stessa pena che alberga nel cuore per i nostri anziani seduti, con gli occhi volti al passato, all’ombra di un solitario albero di nocciolo. Oggi sento la mia Afghanistan diventare la mia Sardegna, perché laddove si possa percepire il nascere dell’amore per una terra essa inizierà a chiamarsi casa. Giunge cosi la notte, ad abbracciare lentamente i ricordi di una giornata che è un pezzo di vita, presto sorgerà l’alba che ci riporterà a casa, alle nostre campagne con gli alberi secolari, ai nostri allegri torrenti, ai nostri immensi spazi e al nostro amore lontano che ci attende, ma voltandoci indietro sappiamo in cuor nostro che ciò che abbiamo avuto l’onore di vivere non potrà mai essere dimenticato…
                                                                                        CAP. LUIGI MOI  (151° FTR)
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Commemorazione della Battaglia dei Tre Monti
(Gennaio 1918)
Pubblicata da Con la Brigata Sassari in Afghanistan, la pagina il giorno martedì 6 settembre 2011

Più di tanti altri forse vi è un ricordo che può esprimere ciò che nei decenni è stato l’animo di questa Brigata, una data dal cui accadimento sono trascorsi oltre ottant’anni. Nella città di Roma si svolsero nel luglio del 1928 i funerali del Generale Carlo Sanna, il mitico “Babbu Mannu”, colui che forse più di tutti nel perdurare dei ricordi, è stato assunto a simbolo dei Sassarini. Numerose furono le testimonianze di cordoglio da parte del mondo politico e militare dell’epoca per il grave lutto, ma ciò che ne rese più alto l’onore fu in un altro luogo, nella sua Sardegna, dove migliaia di pastori e contadini, d’un tratto soldati, che lo avevano seguito con fede e stima sconfinati, lo piansero in silenzio, nella solitudine dei loro ovili e delle loro campagne, il Comandante tra i Comandanti, Sardo fra i Sardi, entrato nel cuore di quei piccoli uomini che egli consegnò alla gloria. Sono vivissime le emozioni risalenti ad appena due anni fa, quando una rappresentanza degli allora tre Reggimenti della Brigata Sassari, il 151°, 152° e 5° si è recata ad Asiago, nell’altipiano dei sette comuni, per rendere omaggio all’inaugurazione dell’ultimo lotto del cimitero dedicato alla memoria dei nostri caduti nel Primo Conflitto Mondiale. Nascosto in un breve pendio sempre verde, attorniato da trincee riportate a nuovo per i tanti visitatori, vi è questo autentico angolo di Sardegna, tra i più preziosi che l’isola possa vantare. Una particolarità appaga l’occhio, le croci che si snodano perfettamente allineate nel prato sono state rinforzate con l’inserimento di due assi diagonali di buon legno, cosi che la loro forma non evochi più lo sconforto della morte, ma ricordi una più confortante distesa di frecce che rivolgono le punte in alto, verso il paradiso. Non si riesce a trattenere le lacrime camminando in una cappa di silenzio irreale tra quei monumenti, nel leggere nomi così familiari, di giovani provenienti da ogni angolo della regione, dai paesi più piccoli e remoti di un’isola che per la gloria d’Italia ha fornito un contributo inenarrabile in termini di perdite e di sacrifici. Riempiono i libri le gesta dei nostri bisnonni che hanno calpestato a lungo quelle terre, battaglie eroiche e semplici storie di umiltà e coraggio che hanno reso leggendaria una generazione di giovani che ignoravano il significato della guerra, ma che sulla sofferenza e la fatica avevano cementato i loro agili corpi. Nel comune di Asiago, se si ha modo di parlare con un vecchio narrando di essere sardo, egli forse risponderà solamente con un sorriso, ma sarà sufficiente percepire la variazione della luce nei suoi occhi per provare più di quanto qualunque parola possa dire. I nipoti dei gloriosi Diavoli Rossi questo lo hanno sentito nell’animo, e dunque, rivestiti di uniformi perfette , ricoperti anch’essi di tintinnanti medaglie, hanno attraversato il paese fino al monumento a noi dedicato, cantando l’inno Dimonios con tanta forza da far tremare le fondamenta della terra, tra l’applauso commosso di due lunghe ali di folla composte dai nipoti di quelle genti a cui gli intrepidi Sardi restituirono una patria. Oggi, dopo avere operato in tante terre remote, ci troviamo ancora una volta in un paese lontano dalle nostre dolci colline e il mare ineguagliabile, a onorare il ricordo di una ricorrenza epica della nostra storia, la Battaglia dei Tre Monti. In quei giorni di ghiaccio del gennaio 1918 gli uomini della Sassari superarono quel confine per il quale l’uomo trapassa dalla realtà alla leggenda e voltandosi indietro, alla fine di tutte le cose, guarda a ciò che ha compiuto chiedendosi se i risultati di talune imprese potrebbero mai essere ripetuti. Nel celebrare il loro ricordo, la memoria di coloro che diedero la vita e di quelli che rientrarono con i gloriosi vessilli, sentiamo il peso di un fardello che nel nostro animo è un obbligo portare avanti, come soldati, come Sassarini e come sardi, poiché solamente dove vivono le radici un albero resta incrollabile, ed è bello in questo giorno, agli antipodi del mondo, sentire l’aria squarciarsi ancora una volta al grido “FORZA PARIS”.
                                                                                                CAP. LUIGI MOI  (151° FTR)
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NATALE 2009
Lettera da Camp Arena
«Ecco il nostro Natale»

 Da Herat il capitano nuorese Luigi Moi racconta la missione della Sassari in Afghanistan
(DALL'ARCHIVIO DELL'UNIONE SARDA DEL 17 DICEMBRE 2009)

L’alba non ha ancora rischiarato il cielo quando apro la porta del modulo abitativo e mi affaccio all’esterno, coperto di pesanti abiti felpati, con in mano un paio di anfibi da spazzolare. Provo una piacevole emozione nell’ammirare il paesaggio ammantato di bianco grazie alla neve che a larghe falde ha sostituito la pioggia dal pomeriggio di ieri. Mancando solamente pochi giorni al Natale un’atmosfera come quella che si presenta in questo momento non può che accentuare la percezione dell’imminente arrivo delle festività. Si potrebbe essere portati a credere che laddove subentrino impegni lavorativi intensi e continui, tra l’altro in un teatro operativo così difficile, si possa in qualche modo trascurare appuntamenti che in Patria consideriamo quasi irrinunciabili. In realtà non è affatto così, anzi. Non è un caso che la preparazione del Natale, qui nella base di Camp Arena a Herat, raggiunga per certi versi toni addirittura fastosi, poiché per colmare l’assenza totale di quel contorno di luci, simboli e totem che spadroneggiano in Italia di questi tempi, ci ingegnamo per esaltare al massimo tutto ciò che i nostri mezzi ci possono concedere di produrre.

IL NURAGHE. Invece di un comune presepe poggiato su un letto di muschio torreggia nel piazzale della base un nuraghe, realizzato in vera pietra sarda con annesse foglie di "Ficu Murisca" e pastori di ceramica. Qui non si scherza, nemmeno su ciò che non è legato alla vita prettamente militare. Noi tutti ci stiamo preparando alla celebrazione. Vi è una particolarità dei militari che queste occasioni tendono a esaltare ancora di più, se possibile, la bonaria rivalità che intercorre tra i reparti, per rendere quanto più evidenti possibile i propri vessilli. In occasione delle feste dunque, nei ritagli di tempo ricavati tra gli impegni di lavoro, ci si dedica a creare delle opere ben visibili a tutti per rappresentare il Natale.

 LA MENSA. Benché la mensa in occasioni di questo tipo renda il meglio di sè pur di farci sentire come a casa, è da credere che saranno in molti a radunarsi per riprodurre i tipici cenoni che ogni anno scandiscono l’appuntamento del 25 dicembre. Si saldano lastre di metallo per creare griglie rustiche, si impasta cemento per dar forma a camini artigianali, si inventano decorazioni ricavate dai materiali più impensabili. Un osservatore esterno che avesse la possibilità di trascorrere qui a Camp Arena la Vigilia probabilmente si sentirebbe un po’ come immerso in una sorta di fiera simile a quelle organizzate nelle nostre città di questi tempi. Ma tutto questo non è un male se può servire a farci sentire a casa.

LA GIORNATA OPERATIVA. Vi è da dire che l’esaltazione natalizia non può e non deve distogliere da quelle che sono le priorità della missione. Di buon mattino affrontiamo, ognuno per il proprio settore di competenza,la lunga e complessa articolazione delle attività della giornata.Tanto per cominciare, dopo una giornata di neve è necessario effettuare dei controlli accurati sui veicoli Lince, per accertarsi che la complessa elettronica di questi mezzi sofisticati non abbia risentito delle intemperie. Fatto questo, le unità
operative si dedicano ai briefing per fissare fin nel dettaglio tutti i punti riguardanti le missioni che in orari quanto più casuali possibili verranno perpetrate nell’area della sconfinata regione occidentale a guida italiana nella quale operano quasi 5000 militari delle diverse nazionalità. Più della metà sono italiani, mille quelli della "Sassari": tutti agli ordini del generale Alessandro Veltri.

LE ATTIVITÀ. I nostri compiti sono piuttosto diversificati: da semplici pattugliamenti a scorte convogli, passando per ricognizioni, colonne logistiche, poligoni addestrativi, distribuzione di aiuti umanitari, sviluppo di progetti per la ricostruzione e lo sviluppo dei servizi essenziali, attività aeree e quant’altro. Mentre il sole continua a salire verso lo zenit ci preoccupiamo del caricamento dell’elicottero che dovrà spedire i rifornimenti di cibo alle basi operative avanzate di Bala Murghab, Shindand, Farah, Shouz, Bala Baluk.

GLI AVAMPOSTI. Da quelle parti, a tre giorni di viaggio con i mezzi su strada, i nostri commilitoni, i nostri amici, hanno costantemente necessità del supporto logistico: sono i normali rifornimenti di cibo, acqua e gasolio. Non di rado capita che alcuni dei nostri, in quella che si può definire la prima linea della Brigata Sassari, ci facciano un regalo che dice tanto su ciò che sono i sentimenti che legano noi Sassarini. Eugenio Atzeri, un ragazzone di Sinnai, mi ha fatto pervenire un pacco dove dentro erano riposti in bella maniera dei pani che loro stessi preparano e infornano per rendere più piacevoli i pasti. A causa delle condizioni meteorologiche non sempre abbiamo la possibilità di far arrivare in tempo i rifornimenti. Ecco allora ingredienti banali come il lievito, poiché qui non sono facilmente reperibili, diventano beni preziosi. Dunque so che ciò che mi hanno donato è stata una privazione che hanno fatto a loro stessi, ed è il motivo per cui questo piccolo gesto fatto con il cuore mi ha quasi commosso e lo considero come un graditissimo regalo di Natale.

AIUTI UMANITARI. Dopo il pranzo ci si occupa di un’altra attività di grande importanza: l’invio degli aiuti umanitari sempre verso Bala Murghab, dove il primo maresciallo Roberto Zuddas di Cagliari attende con eccitazione il carico. Ora che siamo sotto Natale è veramente splendido potersi recare nei villaggi a distribuire vestiti, giochi e materiale scolastico a nuvole di bambini che ci corrono incontro entusiasti. I BAMBINI. Mi è già capitato in altri teatri come il Kosovo o l’Iraq di partecipare a questo tipo di avvenimenti e sono fermamente convinto che poche cose diano gioia quanto il vedere sorridere i bambini, perché in ogni teatro operativo, chi nel comportamento e nell’accoglienza rimane costante, sono proprio loro. Sta calando il sole quando con il comandante e tutto lo staff ci riuniamo per il briefing il cui scopo è quello di fare il punto della situazione sulle attività della giornata e pianificare gli eventi futuri, al termine tutti insieme a consumare la cena. Dopo l’ultimo pasto della giornata molto spesso vi è ancora da lavorare, poiché la dinamicità di un teatro operativo come quello afghano porta spesso a dover programmare o modificare attività con tempi di preavviso ridotti.

SALUTI A CASA. Si riesce però anche a trovare lo spazio per una telefonata a casa tramite internet, o per un momento di solitaria riflessione nell’intimità procurata dall’oscuramento notturno della base. È giunta l’ora di andare riposare, tra i corridoi che si snodano tra i moduli abitativi delle compagnie, ora abbelliti da luci e decorazioni, risplendono i cimeli portati dall’Italia, che rappresentano ciò che siamo oggi e ciò che eravamo.
                                                                                      CAP. LUIGI MOI  (151° FTR)
(OGNI RIPRODUZIONE E UTILIZZO VIETATI SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELL'AUTORE)

24 MAGGIO
di Luigi MOI

Ricordo che dalla prima volta che in Accademia ne lessi il testo, da imparare a memoria e ripetere al Capitano con tutta la Compagnia, vi fu una parte della Leggenda del Piave che mi era impossibile pronunciare senza che un magone mi rompesse la voce...«No!», disse il Piave. «No!», dissero i fanti, «Mai più il nemico faccia un passo avanti!»Si vide il Piave rigonfiar le sponde, e come i fanti combatteron l'onde...immaginavo e immagino ancora una moltitudine di nemici e armamenti che con invincibile prepotenza si rovesciavano sulle valli, ma che in risposta trovavano dei poveri fanti che diventavano giganti a cavallo di un fiume, muri insormontabili a difesa di tutto ciò che amiamo, e ieri come oggi e come sempre sarà la Fanteria è la regina delle battaglie, è il cuore delle battaglie, il giorno che cantando quelle strofe non sentirò rompersi la mia stessa voce dismetterò le vesti di soldato, ma oggi porgo i miei auguri a tutti i Fanti che silenziosamente, in ogni epoca hanno servito e serviranno sotto l' unica amata Bandiera...

 

UN GRAFFITO, L'ANTIMILITARISMO
 E IL MESTIERE DI SOLDATO OGGI

Si può dire che una cosa possa essere bella e brutta allo stesso tempo? Si, se ne vengono separati il perchè del bello e del brutto...Oggi ho visto un graffito, perla di bellezza per l'abilità grafica di coloro i quali si sono impegnati per portarlo a termine...ma orrido nel significato. Rappresentava una sequenza di immagini nel senso delle quali un uomo di qualunque si voglia genere su questa terra muoveva accanto ad una parete...ad un tratto senza che egli se ne avvedesse gli veniva asportata la calotta cranica...a un passo successivo gli veniva estratto il cervello e all'ultimo passo gli veniva posta una calotta da soldato...a significare che i soldati sono delle sorte di automi che agiscono meccanicamente a voler muovere guerra. Oggi per me è il primo giorno del fine settimana, come ogni soldato combatto una guerra che appartiene a tutti gli esseri umani, il taglio del prato, le pulizie di casa, le bollette, la lavastoviglie, la noia verso il ferro da stiro, i messaggi alla donna che amo...ma in aggiunta a queste cose credo di avere un qualcosa in più per cui essere sereno...la gioia di sapere che mi comporto da soldato. Il mio telefono è sempre acceso, la mia uniforme e il mio zaino sono sempre pronti, se il telefono squillerà io in mezz'ora mi proietterò ovunque nel mondo, anche se dovessi dimenticare nella fretta la crema solare...OVUNQUE NEL MONDO...la sottile differenza che separa un automa da un soldato è che il soldato risponde solamente a un comandante, si fida di un solo comandante e non ha interesse a sapere il senso di quello che fa, perchè? Semplice, è un soldato, risponde alle esigenze del suo Stato nel bene e nel male. Le competenze nel mondo occidentale sono ben definite, in ogni settore della vita, chi dimostra veramente coraggio è colui il quale rispetta le direttive che gli vengono imposte a prescindere dal fatto che esse possano costare la vita, l'unica che abbiamo. A volte vorrei essere un banchiere, per vedere se nel momento in cui il mio direttore mi dice "non fare questo investimento perchè è sbagliato" io da cassiere riesca ad avere il coraggio di dire "No, fuck the sistem, ho ragione io"...il mestiere di soldato OGGI è uno dei più difficili...ai miei amici che comandano le compagnie auguro di avere la bravura di insegnare ai propri uomini che non solo non sono degli automi, ma spesso si trovano essere dei copritori di falle che il sistema politico nemmeno sa che possano esistere...
                                                                                Luigi Moi

Venerdi 13 Settembre 2013

LA LANTANA BIANCA E ROSSA

IL MONUMENTO AI CADUTI DEL 151° FANTERIA -IN PRIMO PIANO UNA LANTANA BIANCOROSSA

Sono dunque giunto a trovarla. Speravo che esistesse, la Lantana bianca e rossa, ma disperavo nel poterne un giorno vedere una. Da quando sono tornato all’adorata Monfenera mi sono reso conto che è un periodo di continui saluti, tanti amici se ne vanno, verso nuovi luoghi e nuove avventure... Assieme alla malinconia del distacco mi è sorta in mente una domanda…cosa farei io nel giorno in cui dovessi salutare ciò che rappresenta un cardine della mia vita? Avete presente il motto “dillo con un fiore?” .
Ogni soldato che ci lascia posa innanzi al monumento ai caduti un omaggio floreale, una tradizione bellissima, che ha visto schiere di Anthurium e Rose succedersi per la bellezza di un solo giorno…ed è proprio qui che entra in gioco la mia magica Lantana. La gioia dei giardini è un fiore che non si mette in mostra per conquistare con la bellezza, benchè i suoi fiori bicolori siano meravigliosi, la Lantana silenziosamente si fa notare per la propria forza, si occulta nelle notti d’inverno, abbandonando tutto ciò che non le è indispensabile, concentra tutte le forze nelle radici e al giungere di marzo esplode in una marea di piccoli boccioli che si moltiplicano senza sosta. Ecco…questo se un giorno dovessi andar via sarà il mio regalo e il mio pensiero… una piccola pianta di Lantana dai fiori bianco rossi…e a tutto vi è un perché… gli Anthurium e le Rose sono fiori meravigliosi, ma destinati alla morte, perchè le confezioni di un fioraio sono solamente una illusione di bellezza che a stento vede il tramonto. La piccola lantana verrà piantata, ed essa può essere il simbolo di quella casa chiamata Caserma, ogni giorno regalerà un nuovo fiore bianco e rosso, a testimoniare che il gruppo che siamo è destinato a crescere sempre, non necessariamente come numero, forse semplicemente come spirito, uno spirito che di due colori si fa anima, e come noi abbiamo necessità di conoscenza ed esperienza di cui cibarci per crescere essa avrà bisogno di acqua per splendere, cosi nel prenderci cura di un fiore impareremo a prendere a cuore noi stessi, perché vedendo crescere ciò di cui ci si prende cura…non ci crederete…ma si diventa dei giganti…
                                                                                            Luigi Moi
14 Settembre 2013
 

HO SALUTATO LA MIA BANDIERA
di Luigi MOI

Un altro campo d’arma è volato via. Non è sempre necessario avere idee straordinarie per rendere straordinario un momento. Anche il più normale dei gesti, inserito in un contesto appropriato, può rendere speciale uno spicchio di quotidianità. Oggi sento dall’animo di voler applaudire con il cuore il gesto di un grande Comandante, che ha trasformato una mattina come tante in un momento unico. Oggi noi uomini del 151° Reggimento abbiamo fatto quello che ogni reparto dovrebbe fare nella medesima circostanza. Al momento del commiato con la Gloriosa Bandiera di Guerra, che tornava alla sede stanziale, ognuno di noi ha reso alla stessa un omaggio individuale. Ogni uomo, ogni donna, incamminandosi davanti agli occhi degli altri commilitoni, nel silenzio, si sono fermati a salutare, a formulare un intimo pensiero per poi sfilare, lasciando spazio a un altro soldato. Ogni singolo uomo del Reggimento. Ecco, il punto è che questi sono momenti in cui riesci realmente a comprendere ciò che si trova davanti ai tuoi occhi. In quei cinque secondi di intimo raccoglimento, davanti a noi non vi era una semplice bandiera, non era un panno quel tricolore, ma il drappo centenario che corse di battaglia in battaglia durante ogni guerra, non era una punta di metallo quella che più si avvicinava al cielo, ma il puntale simbolo della nostra Repubblica, e non erano medaglie quelle che pendevano lungo l’asta, ma la sintesi del sacrificio di oltre 5.000 morti. In quel momento, in quel preciso momento in cui eravamo fermi sul saluto, soli davanti a lei, la Bandiera di Guerra diventava immensa, a farci sentire umilmente, infinitamente piccoli, come fossimo al cospetto di un Dio. E di divino qualcosa le appartiene, per essa abbiamo donato innumerevoli vite, ma la amiamo come se ce le avesse regalate, per essa abbiamo conosciuto ogni sacrificio, ma la ringraziamo come ci sentissimo in debito, essa è qualcosa di totalmente intangibile se non nell’anima, ma è più della somma di ognuno di noi, davanti ad essa fluisce un'emozione che rapportata agli umani sentimenti è quanto più si avvicina all’amore…
24 Febbraio 2014

 

DIAVOLI ROSSI
di Luigi MOI

Tecnicamente si chiama perfezione, non riesco ad immaginare un epitaffio più sublime, non esiste una sola parola di più, ne una di meno, ne un senso che minimamente possa essere modificato, facendo si che una parola venga prima o dopo un'altra. E il tutto nel dipingere senza citarlo il concetto più triste, morte. Ho l'onore di vedere ogni giorno questo scritto, ho l'onore di esserne un puntiforme seguito, ogni mattina quando indosso la mia seconda pelle che è fatta di colori desertici, mi chiedo veramente quanto io sia degno di portarla... di fronte ad alcune espressioni di magnificenza ti puoi sentire solamente inadeguato, e nel chiudere i tuoi bottoni e allacciare i tuoi anfibi capisci i tuoi limiti nel comprendere quanto fango e sangue devi macinare prima di dire di te stesso "sono un diavolo rosso".
                                                                                                                                        Cap. Luigi Moi (151°)
CAGLIARI, 9 MARZO 2014
 


Nella foto: la parete dello scalone d'onore della Caserma Monfenera, sede del 151° Reggimento Fanteria Sassari, decorata dal soldato-artista Raimondo Picci. Al centro la Bandiera di Guerra portata da un alfiere con l'attuale uniforme in uso, a sx le motivazioni delle due Medaglie d'Oro al Valor Militare, a dx la motivazione della concessione dell'Ordine Militare d'Italia e della Medaglia d'Oro al Valore dell'Esercito.

 

SALUTO AL TEN. COL. MAURO CABIDDU
CHE LASCIA IL 151°

CAGLIARI, 5 APRILE 2014 - Il 4 Aprile il Ten. Col. Mauro Cabiddu (NELLA FOTO PRIMO DA SX) ha lasciato il suo incarico di vicecomandante del 151° Fanteria per cominciare una nuova sfida professionale. Questo il saluto che gli ha voluto dedicare  il Cap. Luigi Moi, uno dei suoi collaboratori .

"Se sono di sabbia le tempeste, per aver occhi limpidi, occorre che esse scemino. Se son di mare, che plachi il vento che polverizza l’acqua, lasciando che la stessa si posi tra le sabbie. Cosi occorre fare per le scosse dell’animo. Prendere un momento perché le stesse possano decantare e lasciare spazio alla reale percezione delle cose. Oggi posso salutarla. A lasciarsi trasportare dalle emozioni non sarebbero mai state sufficienti le lacrime per colmare la tristezza di quell'ultimo, toccante e meritato saluto. La gloriosa e meravigliosa Bandiera di Guerra che esce a rendere omaggio a un soldato per il quale è semplicemente adatto il silenzio degli onori riservati a rendere omaggio a una persona superiore. Gli uomini che l’hanno servita possono solamente cercare invano di trovare parole che siano degne di rappresentare il sentimento di un distacco che peserà nel cuore prima che nel servizio. Nell'autoironia che l’ha sempre contraddistinta mi piacerebbe permettermi una battuta: forse non tutte le leggi della fisica sono state ancora definite, ne creerei una ad hoc; la portata del cuore di alcuni uomini è inversamente proporzionale alla lunghezza delle loro gambe! La vita ci da l’opportunità di interagire con una miriade di persone, tante inutili, talune importanti, pochissime fondamentali, non solo per ciò che ci danno, ma per ciò che ci insegnano su noi stessi. Ho conosciuto tanti uomini nella mia vita, e non ho difficoltà a dire che se ognuno di essi avesse avuto la sua lucidità nel comprendere la vita, nell'essere comandante e umile discepolo, nell'amare e servire incondizionatamente la Bandiera, non per il sacrificio che si offre ma per il poco che si vuole regalare alla vita. Capo, forse basterebbero mille soldati come lei per costruire un esercito invincibile. Le auguro dal più profondo del cuore non che sappia dare ancora ciò che ha dato finora, è già certo, ma che chi avrà la fortuna di lavorare con lei sappia apprezzare ciò che lei offre. Buona fortuna!
Cap. Luigi Moi

LUIGI MOI PROMOSSO MAGGIORE

CAGLIARI, 22 AGOSTO 2014 - Il capitano Luigi Moi, l'ufficiale nuorese del 151° Reggimento Fanteria "Sassari" è stato promosso maggiore. La consegna del grado è stata fatta, davanti al Reggimento, schierato per la cerimonia dell'alzabandiera nella piazza d'armi "Col del Rosso" della Caserma Monfenera, dal 51° Comandante del Reggimento, Col. Francesco Bruno, e dal Sottufficiale di Corpo, Luogotenente Pietro Mulas, entrambi in tenuta ginnica, come i loro uomini pronti per un'attività di preparazione fisica.
Il Magg. Moi, nel suo profilo FB, aveva commentato in questo modo la notizia della promozione: "e così da oggi è ufficiale. Nella vita è la normalità andare avanti nel proprio lavoro, ma la verità è che oggi, appena ho ricevuto la missiva, ho semplicemente realizzato che era terminato il tempo della mia carriera nel grado più bello. Che da oggi non potrà esistere più quel sogno, ancora per un giorno, anche per un solo momento, di comandare la mia adorata compagnia...".
Durante la cerimonia il 151° ha salutato anche l'arrivo di un nuovo ufficiale, il tenente Emanuele Marcias, e la partenza di una volontaria, il caporale VFP4 Sara Miano, vincitrice di concorso per l'ingresso nella Polizia di Stato.

 

 

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LUIGI MOI

IL MUSEO DEL 3°

Sa mezzus gioventude