SILVIA AMADORI
MASSIMILIANO CARBONI
ROSSELLA LAQUALE
ELISABETTA LOI
NICOLO' MANCA
LUIGI MOI
VALENTINA MURA
DEBORA MUSU
EBE PIERINI
ALBERTO PINNA
MARIO PINNA
OLIVIERO PLUVIANO
MAURIZIO SULIG
PAOLO VACCA
CAGLIARI 1 APRILE 2012 - E’ dunque da qui,
dalla nostra amata Sardegna che si scioglierà il nostro gruppo… ma con
esso non si chiude la nostra amicizia, quella che ha legato persone
accomunate da una stessa sorte e che hanno sofferto assieme per lunghi
mesi. La nostra amicizia continuerà ad andare avanti perché ciò che
abbiamo fatto gli uni per gli altri è cosi importante che non può essere
perduto ne dimenticato. Ora che le bandiere sono tornate a casa, la
missione è davvero giunta al termine e l’ansia e le preoccupazioni hanno
lasciato spazio ad abbracci incontenibili.
Credo di rappresentare il pensiero di tutti i miei colleghi, dicendo che
il rientro a casa potrà essere assaporato appieno solamente con il
passare del tempo, ancora sono molto intensi i ricordi di ciò che
abbiamo vissuto, ed è importante che essi restino tali, perché qualunque
cosa facciamo di prezioso nella vita cambia la vita stessa ed è proprio
la lucidità dei ricordi a permetterci di apprezzare ancor meglio ciò che
abbiamo ritrovato al nostro rientro. Da oggi non vedremo più polvere e
fango, non ci saranno più allerte e ansia, non più le aride colline
della valle…ma da oggi non ci sarà più nemmeno il veder bambini
sorridenti rincorrere i mezzi, il cielo più limpido del pianeta, l’amico
Bruno che ti attende al rientro…ogni luogo porta con se ricordi
splendidi e altri velati di tristezza…noi li abbiamo vissuti e descritti
perché anche voi poteste assaporarli attraverso i nostri occhi, perché
anche voi, agli antipodi del mondo poteste provare almeno in parte le
nostre sensazioni.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il vostro aiuto…mi sento
di ringraziare Paolo e ognuno di voi dal più profondo del cuore, siete
stati tenaci e incrollabili come ognuno dei soldati che ha preso parte
alla missione e simbolicamente la medaglia che tintinnerà nelle nostre
uniformi a ricordo di ciò che è stato dovrebbe essere appuntata al cuore
di ognuno di voi…siate benedetti… alla prossima avventura…
CAP. LUIGI MOI (151° FTR)
(OGNI RIPRODUZIONE E UTILIZZO VIETATI SENZA
L'AUTORIZZAZIONE DELL'AUTORE)
LE MERAVIGLIE AFGHANE:
PRIMULA MACROPHYLLA
13
dicembre 2011 - Nelle lande ad oriente si eleva imponente la
catena montuosa dell’ Hindu Kush, gli Afghani la chiamano “Il tetto del
Mondo”. Non sorgono villaggi ne vi è spazio per le greggi in quei luoghi,
essendo essi tra i più inospitali al mondo. Il solo respirarne l’aria
affanna i polmoni, a causa della rarefazione provocata dall’altitudine. Le
vette sono sovente spazzate da fortissimi venti, per otto mesi all’anno le
bufere di neve infieriscono impietose e il cielo è oscurato perennemente da
dense nebbie. Ciò che resta agli occhi al giungere di una timida e breve
estate è solamente una terra spoglia e arida che lascia allo sguardo una
triste desolazione. Ma anche qui, dove per la vita ogni luce parrebbe
spegnersi, si riscopre una creatura dalle caratteristiche straordinarie. La
Primula Macrophylla è un piccolo fiore di colore violaceo che si rende
piacevole per il suo gradevole ricordo di campagna e primavera. Vi è però
qualcosa oltre la bellezza che rende questa creatura un simbolo meraviglioso
di ciò che è l’amore per la vita: il suo bulbo la contiene per i lunghi mesi
invernali che iniziano in settembre, quando il sole non ha più la forza di
opporsi al gelo e la terra tutto attorno pare diventare pietra. E’ il
principio dell’abisso invernale. A ottobre non un filo di terra ha più il
suo originale colore, il ghiaccio e la neve hanno sepolto ogni cosa e il
bulbo si cela al buio in attesa di un lontano giorno di primavera. Da
novembre a maggio la furia degli eventi è devastante. Venti inarrestabili
scagliano piogge di ghiaccio sulla terra martoriata, accanendosi senza sosta
sulle rocce e su pochi coraggiosi licheni. Il bulbo lotta con tutte le sue
forze per non cedere, lotta ogni istante per proteggere la vita che contiene
dentro di se. La primavera fatica ad arrivare e a maggio le nevi si
attardano ancora sulle piane. Quando finalmente giunge giugno la furia si
placa e la terra si libera dal ghiaccio restituendo alla superficie un
pantano fangoso che si estende a perdita d’occhio. Da tanta desolazione
lentamente si ridesta il bulbo, liberandosi dalla sua prigione, ed è in
questo giorno che esso diventa un miracolo. Se avesse avuto anima di uomo
sarebbe da credere che l’accanirsi degli eventi sulla sua esistenza lo
avrebbero portato alla frustrazione, all’odio e alla follia, che esso
avrebbe maledetto la terra sotto i suoi piedi e ancor più il destino
avverso. Il bulbo non è però carne umana ne umano spirito, ed esso si
comporta nella maniera che più commuove di stupore, ripaga le torture della
terra restituendole un fiore meraviglioso, che spunta solitario e silenzioso
a dare gioia al triste suolo nei brevi giorni d’estate. Esso inizia a
brillare quando ogni altra luce si sarebbe spenta, alza il capo mostrando la
sua bellezza al cielo quando ogni altra creatura si sarebbe arresa. L’
esistenza di questa creatura è un simbolo, il simbolo di come sia possibile
rendere splendida la propria vita e quella di chi ci sta attorno laddove si
abbia la forza di inseguire la propria strada prescindendo dalle avversità
da affrontare per percorrerla. E’ in questo stesso meraviglioso spirito che
ogni soldato dovrebbe sentire dentro di se il senso della sua presenza in
una terra cosi difficile ed è lo stesso spirito che dovrebbe essere
nell’animo di chiunque nella propria vita senta di avere una missione…
CAP. LUIGI MOI (151° FTR)
(OGNI RIPRODUZIONE E UTILIZZO VIETATI SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELL'AUTORE)
CUORE
DI CANE
Bruno, il cane soldato, in una foto di
quando era in "servizio" a Bala Murghab. Alla fine dell'anno scorso
soldati italiani hanno ceduto la FOB all'Afghan National Army e hanno
portato con se Bruno e la sua compagna Chiara. Dopo il periodo di
quarantena a Herat, i due cani sono arrivati in Italia e ora sono ospiti
dell'ENPA a Perugia.
Bruno ha un proprio profilo Facebook con quale mantiene
quotidiani contatti con i suoi amici.
9
dicembre 2011 - La prima volta che vidi Bruno fu durante
il periodo che trascorsi a Bala Morghab ai tempi della missione
passata. Altro non era che un cucciolo buffo e impacciato, di poco
più grande di una scarpa, con il viso appena squadrato e gli occhi
buoni. Non aveva nessuno, forse la mamma era morta poco dopo la sua
nascita, ed egli era abbandonato a se stesso. Viveva dunque in una
postazione avanzata assieme ai nostri soldati, ed essi aveva
imparato a riconoscere come amici e come famiglia. Gli animali sono
stati sempre delle mascotte per gli Eserciti, specialmente i cani,
perché per loro indole essi paiono integrarsi nel gruppo a cui
appartengono assumendone le caratteristiche, nel nostro caso, seppur
curioso da immaginare, essi si comportano come fossero dei piccoli
fanti abili ed arruolati. Non nego lo stupore che ho provato,
ritornando agli inizi di settembre, nel ritrovare il vecchio amico,
che avevamo salutato due anni orsono, ancora al posto di
combattimento. E’ adesso un gran cane, pur perennemente coperto di
fango e sporcizia mostra un aspetto vigoroso e fiero e le sue zampe
sono possenti e sicure. Bruno non ci abbandona mai. Quando i nostri
soldati muovono in fila verso il paese lui li segue, quando essi
partono dentro ai mezzi lui si incammina dietro il convoglio, se
usciamo a raccogliere i rifornimenti che arrivano dal cielo lui
partecipa alla cornice di sicurezza.
Quando era ancora piccolo gli afghani gli hanno spezzato le zampe ed
è probabilmente questo il motivo che lo porta a ringhiare
ferocemente nel momento in cui uno di essi gli compaia alla vista,
come se avesse memorizzato odori, modi di vestire o fisionomie di
chi gli ha fatto del male. Non un lamento o un sussulto di paura si
levano dal suo muso se ad avvicinarsi è qualcuno che indossi una
mimetica, che sia italiano o americano. Tutti noi gli vogliamo un
gran bene, nel passargli accanto non ci si dimentica di chiamare il
suo nome o elargirgli una carezza e tutti gli avanzano del cibo se
qualcosa resta nel piatto. Va poi a sdraiarsi sotto ad un container
al riparo dal freddo e dalla pioggia, uscendone quando comprende che
qualcuno sia in procinto di varcare la soglia della base, per
ritornarvi solamente a lavoro ultimato. E’ grande il cuore dei cani,
perché trabocca gratitudine e generosità in quelle che sono le loro
azioni, fa sorridere il vedersi recapitare da un animale più
sostegno di quello che a volte giunga dagli uomini. Le missioni
iniziano, crescono con tante storie e vicende e si spengono
trascinandosi dietro i ricordi di lunghi mesi. Il nostro amico ne
lascerà tanti nel cuore di molti di noi e sarebbe un conforto se un
giorno dovessimo tornare in questa terra incontrandolo ancora una
volta per una nuova avventura…
CAP. LUIGI MOI (151° FTR)
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7 novembre 2011 - Abbiamo trascorso una
piacevole domenica di primavera. A mezzodì il sole era cosi
intenso da rendere fastidioso il calore anche con una
semplice maglietta indosso, cosa non comune in questo
periodo dell’anno. Nella giornata di lunedì striature scure
hanno iniziato a infittirsi nel cielo, sintomo di un
imminente cambiamento. Un orrido freddo dal nord ha
trascinato nella valle masse di aria gelida dal vicino
Turkmenistan le quali, incanalandosi nelle gole, si sono
riversate con scrosci di fredda pioggia sui villaggi del
Morghab. A sera il freddo era feroce mentre il tepore del
giorno prima restava solamente un ricordo. La pioggia si è
tramutata a breve in aghi di ghiaccio che hanno gelato i
ciotoli e la sabbia. La temperatura è crollata in pochissime
ore e l’aria densa ha riversato una violenta bufera di neve
che ha sepolto la vallata in poche ore. Per tutta la notte
ha continuato con gran furia e tuttora non accenna a
placarsi. Le tende vacillano sotto il peso del ghiaccio e i
riscaldatori sono quasi sommersi. Anche al prezzo di tanti
disagi è bello vedere tutto attorno ammantato di bianco, la
neve è un piacere per gli occhi, ovunque ci si trovi, ma mi
rammarica il pensiero dei nostri ragazzi che gelano nelle
postazioni avanzate e ad esso si aggiunge il dispiacere per
i tanti bambini qui fuori che non hanno scarpe e i cui
piedini potrebbero gelare se esposti a queste intemperie. La
nostra missione di oggi potrebbe essere il cercare di fare
qualcosa per loro… Dalla valle incantata del Morghab un
abbraccio da tutti i Sassarini.
CAP. LUIGI MOI (151° FTR)
(OGNI RIPRODUZIONE E UTILIZZO VIETATI
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"LA
MIA AFGHANISTAN"
La missione 2009-2010 nel ricordo
dI UNO DEI protagonisti
Herat 13 Marzo 2010
-…A voi, piccoli angeli dal muso di
fango,
A voi che oggi muovete ancora con passo incerto
Che nella primavera della vita ancora sognate
Che di speranze si rischiari il vostro cuore
Che i rombi di guerra tramutino in melodia
Che le lacrime asciughino al bacio del sole
Che non sia mai buia la strada che inseguirete…
E’ straordinaria prerogativa degli uomini quella di
riuscire a trasportare gli accadimenti delle loro
esistenze dal complesso al semplice, cosi da poterne
rendere accessibile a tutti il significato che essi
vi intravedono. Avviene in questo modo che una serie
di esperienze lunghe e articolate, come quelle
vissute da un soldato nel perdurare delle sue
missioni nei più remoti angoli del mondo, possa
essere ridotta ad un unica densa giornata. Nasce
oltre un alba di fine estate la prima pagina di
questo paziente e duro cammino, vissuto per ogni
attimo della sua lunghezza con l’intensità di cui è
capace solamente chi si porge all’ignoto senza
provare paura nel lasciarsi indietro il resto della
sua vita. Uno spicchio di sole si impenna alle
spalle delle montagne del Cagliaritano, irraggiando
la piana come il calare di un torrente, quasi a
conferma di un nuovo inizio, scandito dalla cosa più
naturale e più cara a coloro i quali sanno amare,
l’ultimo bacio alla madre prima di affrontare
l’incerto. Sono occhi gonfi di emozione quelli con i
quali ella cerca di scolpire nella mente la tua
immagine raddolcita da un sorriso velato di
malinconia, occhi scavati da un peso che oggi non è
più solo quello degli anni, poiché cela senza
riuscirvi le pene che segnano chi ti ama ma sa
nell’animo di non poter dividere con te il tuo
fardello, non questa volta. Un ultimo sguardo di
commiato dice più di quanto potrebbe la più cara
parola e quando volto gli occhi abbandonando i suoi
il sole si è già lanciato nell’immenso dei cieli.
Mi riempiono ora la vista le lande brulle e impervie
dell’Afghanistan, che solo vagamente rappresentano
il ricordo delle nostre amate montagne, se non fosse
per la muta solitudine che ne scandisce i millenni.
Distese di pietre rossastre e aride, crepe nei
polverosi sentieri di argilla squarciati da un
calore spossante, poche piante temerarie a difendere
la loro dura esistenza lamentando acqua alla terra.
In mezzo a questi piatti e sconfinati altipiani,
incastonate e quasi nascoste alla vista, in perfetta
simbiosi con il paesaggio, ecco emergere in piccoli
agglomerati le misere dimore di poveri contadini. Mi
portano a ricordo i nostri nuraghi, come essi
imponenti e immobili, a farsi beffe degli oceani del
tempo, semplici e incrollabili, non vedo la loro
durevolezza come un semplice caso, poiché ciò che
costruisce l’uomo è saldamente legato alla portata
del suo animo e tanto gli afghani quanto i sardi
discendono da civiltà avvezze alla durezza della
vita ed essi hanno forgiato la creta e il granito,
la paglia ed il fango con la stessa tempra che gli
scorre nelle vene. E’ difficile trovare parole
adatte a descrivere l’emozione del contatto con gli
abitanti di questi luoghi. Laddove vi sia
l’occasione di scambiare con essi qualche istante
durante le distribuzioni di aiuti di prima necessità
ciò che balza immediatamente all’occhio è la regale
compostezza degli anziani.
Non hanno un’età gli uomini di questa terra, simili
a esseri delle favole, coperti da solchi nel viso
che parrebbero richiedere un era di questo nostro
mondo per segnare cosi profondamente un volto, le
loro lunghe barbe incolte acuiscono, se possibile in
maniera ancora più decisa, questa loro immagine
atavica. I loro occhi trasudano spossatezza, la
fatica di una vita che chi porta a termine nell’
inverno degli anni può certamente dire di aver
vissuto da uomo vero, sotto costanti tormenti,
guerre incessanti, miseria e malattie. Ma a
compensare il senso di pena che sale al cuore al
loro cospetto vi è l’altro lato della vita a
commuoverci di piacevole emozione, innumerevoli,
incontenibili piccoli angeli. Alcuni di essi hanno
occhi di un chiarore intenso come il ghiaccio
siberiano e i musi perennemente sporchi di fango
esprimono tutte le emozioni dello scibile umano, è
nei visi di questi bambini la chiave della nostra
missione, poiché in un lontano giorno essi
incroceranno nuovamente i nostri, da amici, oppure
da combattenti e tanto di ciò che accadrà domani
dipende da quanto siamo in grado di creare di
positivo oggi. Rientrando verso l’accampamento il
panorama scorre rapidamente davanti agli occhi,
distorto dai possenti vetri dei mezzi blindati,
ovunque intorno la vita prosegue con i suoi
immutabili ritmi, scandita solamente dal susseguirsi
delle giornate. Il sole è allo zenit quando il
sinistro suono di una sirena scuote ogni angolo
della base, agghiacciante come un grido di
disperazione, paralizzandoci per un istante,
rendendoci simili a statue ma con udito felino, in
attesa di comprendere quale evento nefasto stia per
annunciare la gelida voce dell’altoparlante.
Affretto il passo quasi a volerlo spingere alla
velocità del cuore, mentre la tromba inesorabile
sentenzia l’imminenza di un volo che dovrà levarsi
per andare la fuori, in mezzo a un nulla solamente
apparente, a recuperare una vita che lentamente si
spegne.
Più di tutte una cosa si palesa nelle nostre menti
vivendo questa realtà, l’inestimabile e troppo
sovente sminuito valore della nostra esistenza. La
gustiamo ogni momento in questa terra sfortunata,
mentre attraversiamo i deserti o solchiamo i cieli,
mentre ci concediamo un sorriso o ci abbandoniamo
alla notte, ogni istante della vita qui assume un
senso, poiché tanto improvvisa risulta la
mutevolezza degli eventi da rendere il tempo più
prezioso del diamante. Quando il destino spalanca le
porte è il suono della sirena a portarne l’infausto
messaggio, giungono cosi talvolta i giorni dello
sconforto e della tristezza, dove ognuno di noi si
sente rappresentante dell’anima di coloro i quali ci
lasciano lungo il cammino. E allora ci riuniamo,
uniformi di ogni angolo del mondo, davanti a
un'unica bandiera, divorando lacrime in silenzio al
cospetto di una sorte che ci priva di coloro ai
quali vogliamo del bene, uomini che hanno diviso con
noi gioie e sofferenze in questo cammino, uscendone
all’improvviso senza che potessimo tendergli la
mano. E raccogliamo i ricordi scolpendoli nel cuore
per posarci sopra una nuova pagina di speranza che
ci faccia rialzare e riprendere la strada. E’ giunto
il meriggio quando a bordo di un elicottero
attraverso fiumi e monti per approdare nell’ estremo
nord del paese. Morghab. Ha un suono sinistro il
solo pronunciare questa parola, il fiume che
serpeggia verso il confine, tagliando in due una
vallata meravigliosa, circondata da colline dolci e
coperte di un erba fittissima durante la buona
stagione. Purtroppo come la bellezza dei serpenti
anche quella offerta da questo luogo remoto è
solamente la faccia apprezzabile di una medaglia il
cui lato nascosto racchiude innumerevoli insidie. La
nostra base avanzata è proprio li, addentro alla
piana, in un terreno che pioggia e neve tramutano in
una massa poltigliosa e impercorribile durante
l’inverno, mentre la terribile arsura estiva
polverizza in un tappeto di finissima sabbia che
spazzata dal vento annebbia la vista.
Il gelo è vivissimo in questa giornata e perfino con
il sole alto nel cielo tutto attorno è ghiaccio,
scricchiolante come vetro al contatto delle suole.
E’ in questo luogo che forse più di ogni dove si fa
sentire il peso della durezza della missione, benché
lo spirito che si è creato tra coloro i quali vi
dimorano lo rendano allo stesso tempo moralmente
accogliente. Si resta necessariamente incuriositi,
percorrendo la strada del bazar del villaggio,
dall’incalcolabile quantità e varietà di prodotti
esposti nelle sordide botteghe dei venditori locali.
Carni di animali macellati poste a frollare
penzolando da una porta, grosse ceste di spezie
variopinte davanti a una bancarella, carriole di
frutta secca, masserie, sacchi di tela grezza
ricolmi di farina e una formidabile calca di uomini
e bambini che con disarmante pacatezza sostano
innanzi alle loro merci incuranti di dover trovare
qualcuno desideroso di acquistarle. Questo sarà uno
dei ricordi più preziosi che riporterò a casa, il
poter contemplare la serenità nell’affrontare lo
scorrere della vita, l’ammirevole condotta di coloro
i quali, bisognosi di guadagnare solamente ciò di
cui necessitano per sopravvivere, disdegnano la
frenesia del dover perseguire qualsivoglia obiettivo
che non sia necessario e la stessa lentezza con cui
alzano la mano per rivolgerti un cenno di saluto
indica chiaramente come qui il tempo non sia moneta
ricercata. Ma in mezzo a tanta calma apparente è
comunque fondamentale avere cento occhi, che
scrutino ovunque tra la terra e il cielo, poiché è
impressionante la rapidità con la quale una giornata
di quiete possa tramutarsi in una trappola nello
spazio di un istante. La tensione logora, logora
l’anima più di ogni cosa, questo è il motivo per il
quale in questo luogo il fardello della missione
accentua il suo peso, benchè anche qui il tempo
scorra inesorabile. Il sole ridiscende lentamente
verso l’orizzonte quando la potenza degli elicotteri
scuote le tende della base alzando un polveroso
vortice mentre si librano in cielo, rivolgendosi a
sud, per il viaggio di ritorno. Dai portelli
spalancati posso vedere il panorama volteggiare
tutto attorno mentre saliamo con i movimenti a
spirale del volo tattico prima di sorvolare le
catene di monti, lasciandoci dietro luoghi che ogni
uomo dovrebbe avere l’occasione di poter ammirare e
mi convinco, sentendo il cuore avvolto di speranza,
che un giorno questo potrà veramente accadere.
E’ oramai sera e il tramonto infuoca il cielo di
Herat mentre osservo con lo sguardo volto
all’orizzonte il morire di questa giornata. Nel
silenzio del crepuscolo echeggiano in lontananza i
canti di preghiera dei Muazzin, simili a lamenti,
allo stesso tempo inquietanti e affascinanti. Si
intravedono le prime stelle della volta celeste
tempestare l’oscurità e lontano, ma infondo non cosi
tanto, anche il cielo sopra casa brilla con la
stessa intensità. Cosi penso alla cara Sardegna,
dove oramai sopraggiunge la primavera e i mandorli
colorano di rosa le valli, mentre nei monti la neve
ancora si attarda, nascosta nell’ombra delle
foreste. A un tratto queste terre sembrano cosi
simili, fatte di volti, di pietre, di profumi ed
emozioni che solamente il caso o forse la follia
hanno destinato a sorti cosi diverse. Vedo nei
sorrisi dei bambini che giocano nella polvere quella
stessa allegria che trapela dai nostri figli, che si
rincorrono nelle viuzze rivestite di ciottoli degli
antichi paesi di Barbagia, la celestiale compostezza
delle donne coperte dai burqa rispecchia il serio
contegno delle nostre madri avvolte negli abiti
scuri e chiuse in preghiera, provo per i vecchi
seduti sul ciglio delle strade di argilla la stessa
pena che alberga nel cuore per i nostri anziani
seduti, con gli occhi volti al passato, all’ombra di
un solitario albero di nocciolo. Oggi sento la mia
Afghanistan diventare la mia Sardegna, perché
laddove si possa percepire il nascere dell’amore per
una terra essa inizierà a chiamarsi casa. Giunge
cosi la notte, ad abbracciare lentamente i ricordi
di una giornata che è un pezzo di vita, presto
sorgerà l’alba che ci riporterà a casa, alle nostre
campagne con gli alberi secolari, ai nostri allegri
torrenti, ai nostri immensi spazi e al nostro amore
lontano che ci attende, ma voltandoci indietro
sappiamo in cuor nostro che ciò che abbiamo avuto
l’onore di vivere non potrà mai essere dimenticato…
CAP. LUIGI MOI (151° FTR)
(OGNI RIPRODUZIONE E UTILIZZO VIETATI
SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELL'AUTORE)
Commemorazione della Battaglia dei Tre Monti
(Gennaio 1918)
Pubblicata da Con la
Brigata Sassari in Afghanistan, la pagina il
giorno martedì 6 settembre 2011
Più di tanti altri forse vi è un ricordo che
può esprimere ciò che nei decenni è stato
l’animo di questa Brigata, una data dal cui
accadimento sono trascorsi oltre
ottant’anni. Nella città di Roma si svolsero
nel luglio del 1928 i funerali del Generale
Carlo Sanna, il mitico “Babbu Mannu”, colui
che forse più di tutti nel perdurare dei
ricordi, è stato assunto a simbolo dei
Sassarini. Numerose furono le testimonianze
di cordoglio da parte del mondo politico e
militare dell’epoca per il grave lutto, ma
ciò che ne rese più alto l’onore fu in un
altro luogo, nella sua Sardegna, dove
migliaia di pastori e contadini, d’un tratto
soldati, che lo avevano seguito con fede e
stima sconfinati, lo piansero in silenzio,
nella solitudine dei loro ovili e delle loro
campagne, il Comandante tra i Comandanti,
Sardo fra i Sardi, entrato nel cuore di quei
piccoli uomini che egli consegnò alla
gloria. Sono vivissime le emozioni risalenti
ad appena due anni fa, quando una
rappresentanza degli allora tre Reggimenti
della Brigata Sassari, il 151°, 152° e 5° si
è recata ad Asiago, nell’altipiano dei sette
comuni, per rendere omaggio
all’inaugurazione dell’ultimo lotto del
cimitero dedicato alla memoria dei nostri
caduti nel Primo Conflitto Mondiale.
Nascosto in un breve pendio sempre verde,
attorniato da trincee riportate a nuovo per
i tanti visitatori, vi è questo autentico
angolo di Sardegna, tra i più preziosi che
l’isola possa vantare. Una particolarità
appaga l’occhio, le croci che si snodano
perfettamente allineate nel prato sono state
rinforzate con l’inserimento di due assi
diagonali di buon legno, cosi che la loro
forma non evochi più lo sconforto della
morte, ma ricordi una più confortante
distesa di frecce che rivolgono le punte in
alto, verso il paradiso. Non si riesce a
trattenere le lacrime camminando in una
cappa di silenzio irreale tra quei
monumenti, nel leggere nomi così familiari,
di giovani provenienti da ogni angolo della
regione, dai paesi più piccoli e remoti di
un’isola che per la gloria d’Italia ha
fornito un contributo inenarrabile in
termini di perdite e di sacrifici. Riempiono
i libri le gesta dei nostri bisnonni che
hanno calpestato a lungo quelle terre,
battaglie eroiche e semplici storie di
umiltà e coraggio che hanno reso leggendaria
una generazione di giovani che ignoravano il
significato della guerra, ma che sulla
sofferenza e la fatica avevano cementato i
loro agili corpi. Nel comune di Asiago, se
si ha modo di parlare con un vecchio
narrando di essere sardo, egli forse
risponderà solamente con un sorriso, ma sarà
sufficiente percepire la variazione della
luce nei suoi occhi per provare più di
quanto qualunque parola possa dire. I nipoti
dei gloriosi Diavoli Rossi questo lo hanno
sentito nell’animo, e dunque, rivestiti di
uniformi perfette , ricoperti anch’essi di
tintinnanti medaglie, hanno attraversato il
paese fino al monumento a noi dedicato,
cantando l’inno Dimonios con tanta forza da
far tremare le fondamenta della terra, tra
l’applauso commosso di due lunghe ali di
folla composte dai nipoti di quelle genti a
cui gli intrepidi Sardi restituirono una
patria. Oggi, dopo avere operato in tante
terre remote, ci troviamo ancora una volta
in un paese lontano dalle nostre dolci
colline e il mare ineguagliabile, a onorare
il ricordo di una ricorrenza epica della
nostra storia, la Battaglia dei Tre Monti.
In quei giorni di ghiaccio del gennaio 1918
gli uomini della Sassari superarono quel
confine per il quale l’uomo trapassa dalla
realtà alla leggenda e voltandosi indietro,
alla fine di tutte le cose, guarda a ciò che
ha compiuto chiedendosi se i risultati di
talune imprese potrebbero mai essere
ripetuti. Nel celebrare il loro ricordo, la
memoria di coloro che diedero la vita e di
quelli che rientrarono con i gloriosi
vessilli, sentiamo il peso di un fardello
che nel nostro animo è un obbligo portare
avanti, come soldati, come Sassarini e come
sardi, poiché solamente dove vivono le
radici un albero resta incrollabile, ed è
bello in questo giorno, agli antipodi del
mondo, sentire l’aria squarciarsi ancora una
volta al grido “FORZA PARIS”.
CAP. LUIGI MOI (151° FTR)
(OGNI RIPRODUZIONE E
UTILIZZO VIETATI SENZA L'AUTORIZZAZIONE
DELL'AUTORE)
NATALE 2009
Lettera da Camp Arena
«Ecco il nostro Natale»
Da
Herat il capitano nuorese Luigi Moi
racconta la missione della Sassari in
Afghanistan
(DALL'ARCHIVIO DELL'UNIONE SARDA DEL 17
DICEMBRE 2009)
L’alba non ha ancora rischiarato il cielo quando apro la porta del modulo abitativo e mi affaccio all’esterno, coperto di pesanti abiti felpati, con in mano un paio di anfibi da spazzolare. Provo una piacevole emozione nell’ammirare il paesaggio ammantato di bianco grazie alla neve che a larghe falde ha sostituito la pioggia dal pomeriggio di ieri. Mancando solamente pochi giorni al Natale un’atmosfera come quella che si presenta in questo momento non può che accentuare la percezione dell’imminente arrivo delle festività. Si potrebbe essere portati a credere che laddove subentrino impegni lavorativi intensi e continui, tra l’altro in un teatro operativo così difficile, si possa in qualche modo trascurare appuntamenti che in Patria consideriamo quasi irrinunciabili. In realtà non è affatto così, anzi. Non è un caso che la preparazione del Natale, qui nella base di Camp Arena a Herat, raggiunga per certi versi toni addirittura fastosi, poiché per colmare l’assenza totale di quel contorno di luci, simboli e totem che spadroneggiano in Italia di questi tempi, ci ingegnamo per esaltare al massimo tutto ciò che i nostri mezzi ci possono concedere di produrre.
IL NURAGHE. Invece di un comune presepe poggiato su un letto di muschio torreggia nel piazzale della base un nuraghe, realizzato in vera pietra sarda con annesse foglie di "Ficu Murisca" e pastori di ceramica. Qui non si scherza, nemmeno su ciò che non è legato alla vita prettamente militare. Noi tutti ci stiamo preparando alla celebrazione. Vi è una particolarità dei militari che queste occasioni tendono a esaltare ancora di più, se possibile, la bonaria rivalità che intercorre tra i reparti, per rendere quanto più evidenti possibile i propri vessilli. In occasione delle feste dunque, nei ritagli di tempo ricavati tra gli impegni di lavoro, ci si dedica a creare delle opere ben visibili a tutti per rappresentare il Natale.
LA MENSA. Benché la mensa in occasioni di questo tipo renda il meglio di sè pur di farci sentire come a casa, è da credere che saranno in molti a radunarsi per riprodurre i tipici cenoni che ogni anno scandiscono l’appuntamento del 25 dicembre. Si saldano lastre di metallo per creare griglie rustiche, si impasta cemento per dar forma a camini artigianali, si inventano decorazioni ricavate dai materiali più impensabili. Un osservatore esterno che avesse la possibilità di trascorrere qui a Camp Arena la Vigilia probabilmente si sentirebbe un po’ come immerso in una sorta di fiera simile a quelle organizzate nelle nostre città di questi tempi. Ma tutto questo non è un male se può servire a farci sentire a casa.
LA GIORNATA
OPERATIVA. Vi è da dire che
l’esaltazione natalizia non può e
non deve distogliere da quelle che
sono le priorità della missione. Di
buon mattino affrontiamo, ognuno per
il proprio settore di competenza,la
lunga e complessa articolazione
delle attività della giornata.Tanto
per cominciare, dopo una giornata di
neve è necessario effettuare dei
controlli accurati sui veicoli
Lince, per accertarsi che la
complessa elettronica di questi
mezzi sofisticati non abbia
risentito delle intemperie. Fatto
questo, le unità
operative si dedicano ai briefing
per fissare fin nel dettaglio tutti
i punti riguardanti le missioni che
in orari quanto più casuali
possibili verranno perpetrate
nell’area della sconfinata regione
occidentale a guida italiana nella
quale operano quasi 5000 militari
delle diverse nazionalità. Più della
metà sono italiani, mille quelli
della "Sassari": tutti agli ordini
del generale Alessandro Veltri.
LE ATTIVITÀ. I nostri compiti sono piuttosto diversificati: da semplici pattugliamenti a scorte convogli, passando per ricognizioni, colonne logistiche, poligoni addestrativi, distribuzione di aiuti umanitari, sviluppo di progetti per la ricostruzione e lo sviluppo dei servizi essenziali, attività aeree e quant’altro. Mentre il sole continua a salire verso lo zenit ci preoccupiamo del caricamento dell’elicottero che dovrà spedire i rifornimenti di cibo alle basi operative avanzate di Bala Murghab, Shindand, Farah, Shouz, Bala Baluk.
GLI AVAMPOSTI. Da quelle parti, a tre giorni di viaggio con i mezzi su strada, i nostri commilitoni, i nostri amici, hanno costantemente necessità del supporto logistico: sono i normali rifornimenti di cibo, acqua e gasolio. Non di rado capita che alcuni dei nostri, in quella che si può definire la prima linea della Brigata Sassari, ci facciano un regalo che dice tanto su ciò che sono i sentimenti che legano noi Sassarini. Eugenio Atzeri, un ragazzone di Sinnai, mi ha fatto pervenire un pacco dove dentro erano riposti in bella maniera dei pani che loro stessi preparano e infornano per rendere più piacevoli i pasti. A causa delle condizioni meteorologiche non sempre abbiamo la possibilità di far arrivare in tempo i rifornimenti. Ecco allora ingredienti banali come il lievito, poiché qui non sono facilmente reperibili, diventano beni preziosi. Dunque so che ciò che mi hanno donato è stata una privazione che hanno fatto a loro stessi, ed è il motivo per cui questo piccolo gesto fatto con il cuore mi ha quasi commosso e lo considero come un graditissimo regalo di Natale.
AIUTI UMANITARI. Dopo il pranzo ci si occupa di un’altra attività di grande importanza: l’invio degli aiuti umanitari sempre verso Bala Murghab, dove il primo maresciallo Roberto Zuddas di Cagliari attende con eccitazione il carico. Ora che siamo sotto Natale è veramente splendido potersi recare nei villaggi a distribuire vestiti, giochi e materiale scolastico a nuvole di bambini che ci corrono incontro entusiasti. I BAMBINI. Mi è già capitato in altri teatri come il Kosovo o l’Iraq di partecipare a questo tipo di avvenimenti e sono fermamente convinto che poche cose diano gioia quanto il vedere sorridere i bambini, perché in ogni teatro operativo, chi nel comportamento e nell’accoglienza rimane costante, sono proprio loro. Sta calando il sole quando con il comandante e tutto lo staff ci riuniamo per il briefing il cui scopo è quello di fare il punto della situazione sulle attività della giornata e pianificare gli eventi futuri, al termine tutti insieme a consumare la cena. Dopo l’ultimo pasto della giornata molto spesso vi è ancora da lavorare, poiché la dinamicità di un teatro operativo come quello afghano porta spesso a dover programmare o modificare attività con tempi di preavviso ridotti.
SALUTI A CASA.
Si riesce però anche a trovare lo
spazio per una telefonata a casa
tramite internet, o per un momento
di solitaria riflessione
nell’intimità procurata
dall’oscuramento notturno della
base. È giunta l’ora di andare
riposare, tra i corridoi che si
snodano tra i moduli abitativi delle
compagnie, ora abbelliti da luci e
decorazioni, risplendono i cimeli
portati dall’Italia, che
rappresentano ciò che siamo oggi e
ciò che eravamo.
CAP. LUIGI MOI (151° FTR)
(OGNI RIPRODUZIONE E
UTILIZZO VIETATI SENZA L'AUTORIZZAZIONE
DELL'AUTORE)
24 MAGGIO
di Luigi MOI
Ricordo che dalla prima volta che in Accademia ne lessi il testo, da imparare a memoria e ripetere al Capitano con tutta la Compagnia, vi fu una parte della Leggenda del Piave che mi era impossibile pronunciare senza che un magone mi rompesse la voce...«No!», disse il Piave. «No!», dissero i fanti, «Mai più il nemico faccia un passo avanti!»Si vide il Piave rigonfiar le sponde, e come i fanti combatteron l'onde...immaginavo e immagino ancora una moltitudine di nemici e armamenti che con invincibile prepotenza si rovesciavano sulle valli, ma che in risposta trovavano dei poveri fanti che diventavano giganti a cavallo di un fiume, muri insormontabili a difesa di tutto ciò che amiamo, e ieri come oggi e come sempre sarà la Fanteria è la regina delle battaglie, è il cuore delle battaglie, il giorno che cantando quelle strofe non sentirò rompersi la mia stessa voce dismetterò le vesti di soldato, ma oggi porgo i miei auguri a tutti i Fanti che silenziosamente, in ogni epoca hanno servito e serviranno sotto l' unica amata Bandiera...
UN
GRAFFITO,
L'ANTIMILITARISMO
E
IL MESTIERE DI SOLDATO
OGGI
Si può dire che una
cosa possa essere
bella e brutta allo
stesso tempo? Si, se
ne vengono separati
il perchè del bello
e del brutto...Oggi
ho visto un
graffito, perla di
bellezza per
l'abilità grafica di
coloro i quali si
sono impegnati per
portarlo a
termine...ma orrido
nel significato.
Rappresentava una
sequenza di immagini
nel senso delle
quali un uomo di
qualunque si voglia
genere su questa
terra muoveva
accanto ad una
parete...ad un
tratto senza che
egli se ne avvedesse
gli veniva asportata
la calotta
cranica...a un passo
successivo gli
veniva estratto il
cervello e
all'ultimo passo gli
veniva posta una
calotta da
soldato...a
significare che i
soldati sono delle
sorte di automi che
agiscono
meccanicamente a
voler muovere
guerra. Oggi per me
è il primo giorno
del fine settimana,
come ogni soldato
combatto una guerra
che appartiene a
tutti gli esseri
umani, il taglio del
prato, le pulizie di
casa, le bollette,
la lavastoviglie, la
noia verso il ferro
da stiro, i messaggi
alla donna che
amo...ma in aggiunta
a queste cose credo
di avere un qualcosa
in più per cui
essere sereno...la
gioia di sapere che
mi comporto da
soldato. Il mio
telefono è sempre
acceso, la mia
uniforme e il mio
zaino sono sempre
pronti, se il
telefono squillerà
io in mezz'ora mi
proietterò ovunque
nel mondo, anche se
dovessi dimenticare
nella fretta la
crema
solare...OVUNQUE NEL
MONDO...la sottile
differenza che
separa un automa da
un soldato è che il
soldato risponde
solamente a un
comandante, si fida
di un solo
comandante e non ha
interesse a sapere
il senso di quello
che fa, perchè?
Semplice, è un
soldato, risponde
alle esigenze del
suo Stato nel bene e
nel male. Le
competenze nel mondo
occidentale sono ben
definite, in ogni
settore della vita,
chi dimostra
veramente coraggio è
colui il quale
rispetta le
direttive che gli
vengono imposte a
prescindere dal
fatto che esse
possano costare la
vita, l'unica che
abbiamo. A volte
vorrei essere un
banchiere, per
vedere se nel
momento in cui il
mio direttore mi
dice "non fare
questo investimento
perchè è sbagliato"
io da cassiere
riesca ad avere il
coraggio di dire
"No, fuck the
sistem, ho ragione
io"...il mestiere di
soldato OGGI è uno
dei più
difficili...ai miei
amici che comandano
le compagnie auguro
di avere la bravura
di insegnare ai
propri uomini che
non solo non sono
degli automi, ma
spesso si trovano
essere dei copritori
di falle che il
sistema politico
nemmeno sa che
possano esistere...
Luigi Moi
Venerdi 13 Settembre 2013
LA LANTANA
BIANCA E ROSSA
IL MONUMENTO AI CADUTI DEL 151° FANTERIA -IN PRIMO PIANO UNA LANTANA BIANCOROSSA
Sono dunque
giunto a
trovarla.
Speravo che
esistesse, la
Lantana bianca e
rossa, ma
disperavo nel
poterne un
giorno vedere
una. Da quando
sono tornato
all’adorata
Monfenera mi
sono reso conto
che è un periodo
di continui
saluti, tanti
amici se ne
vanno, verso
nuovi luoghi e
nuove
avventure...
Assieme alla
malinconia del
distacco mi è
sorta in mente
una domanda…cosa
farei io nel
giorno in cui
dovessi salutare
ciò che
rappresenta un
cardine della
mia vita? Avete
presente il
motto “dillo con
un fiore?” .
Ogni soldato che
ci lascia posa
innanzi al
monumento ai
caduti un
omaggio
floreale, una
tradizione
bellissima, che
ha visto schiere
di Anthurium e
Rose succedersi
per la bellezza
di un solo
giorno…ed è
proprio qui che
entra in gioco
la mia magica
Lantana. La
gioia dei
giardini è un
fiore che non si
mette in mostra
per conquistare
con la bellezza,
benchè i suoi
fiori bicolori
siano
meravigliosi, la
Lantana
silenziosamente
si fa notare per
la propria
forza, si
occulta nelle
notti d’inverno,
abbandonando
tutto ciò che
non le è
indispensabile,
concentra tutte
le forze nelle
radici e al
giungere di
marzo esplode in
una marea di
piccoli boccioli
che si
moltiplicano
senza sosta.
Ecco…questo se
un giorno
dovessi andar
via sarà il mio
regalo e il mio
pensiero… una
piccola pianta
di Lantana dai
fiori bianco
rossi…e a tutto
vi è un perché…
gli Anthurium e
le Rose sono
fiori
meravigliosi, ma
destinati alla
morte, perchè le
confezioni di un
fioraio sono
solamente una
illusione di
bellezza che a
stento vede il
tramonto. La
piccola lantana
verrà piantata,
ed essa può
essere il
simbolo di
quella casa
chiamata
Caserma, ogni
giorno regalerà
un nuovo fiore
bianco e rosso,
a testimoniare
che il gruppo
che siamo è
destinato a
crescere sempre,
non
necessariamente
come numero,
forse
semplicemente
come spirito,
uno spirito che
di due colori si
fa anima, e come
noi abbiamo
necessità di
conoscenza ed
esperienza di
cui cibarci per
crescere essa
avrà bisogno di
acqua per
splendere, cosi
nel prenderci
cura di un fiore
impareremo a
prendere a cuore
noi stessi,
perché vedendo
crescere ciò di
cui ci si prende
cura…non ci
crederete…ma si
diventa dei
giganti…
Luigi Moi
14 Settembre
2013
HO SALUTATO
LA MIA BANDIERA
di Luigi MOI
Un altro
campo d’arma
è volato
via.
Non è sempre
necessario
avere idee
straordinarie
per rendere
straordinario
un momento.
Anche il più
normale dei
gesti,
inserito in
un contesto
appropriato,
può rendere
speciale uno
spicchio di
quotidianità.
Oggi sento
dall’animo
di voler
applaudire
con il cuore
il gesto di
un grande
Comandante,
che ha
trasformato
una mattina
come tante
in un
momento
unico.
Oggi noi
uomini del
151°
Reggimento
abbiamo
fatto quello
che ogni
reparto
dovrebbe
fare nella
medesima
circostanza.
Al momento
del commiato
con la
Gloriosa
Bandiera di
Guerra, che
tornava alla
sede
stanziale,
ognuno di
noi ha reso
alla stessa
un omaggio
individuale.
Ogni uomo,
ogni donna,
incamminandosi
davanti agli
occhi degli
altri
commilitoni,
nel
silenzio, si
sono fermati
a salutare,
a formulare
un intimo
pensiero per
poi sfilare,
lasciando
spazio a un
altro
soldato.
Ogni singolo
uomo del
Reggimento.
Ecco, il
punto è che
questi sono
momenti in
cui riesci
realmente a
comprendere
ciò che si
trova
davanti ai
tuoi occhi.
In quei
cinque
secondi di
intimo
raccoglimento,
davanti a
noi non vi
era una
semplice
bandiera,
non era un
panno quel
tricolore,
ma il drappo
centenario
che corse di
battaglia in
battaglia
durante ogni
guerra, non
era una
punta di
metallo
quella che
più si
avvicinava
al cielo, ma
il puntale
simbolo
della nostra
Repubblica,
e non erano
medaglie
quelle che
pendevano
lungo
l’asta, ma
la sintesi
del
sacrificio
di oltre
5.000 morti.
In quel
momento, in
quel preciso
momento in
cui eravamo
fermi sul
saluto, soli
davanti a
lei, la
Bandiera di
Guerra
diventava
immensa, a
farci
sentire
umilmente,
infinitamente
piccoli,
come fossimo
al cospetto
di un Dio. E
di divino
qualcosa le
appartiene,
per essa
abbiamo
donato
innumerevoli
vite, ma la
amiamo come
se ce le
avesse
regalate,
per essa
abbiamo
conosciuto
ogni
sacrificio,
ma la
ringraziamo
come ci
sentissimo
in debito,
essa è
qualcosa di
totalmente
intangibile
se non
nell’anima,
ma è più
della somma
di ognuno di
noi, davanti
ad essa
fluisce
un'emozione
che
rapportata
agli umani
sentimenti è
quanto più
si avvicina
all’amore…
24
Febbraio
2014
DIAVOLI
ROSSI
di Luigi MOI
Tecnicamente
si chiama
perfezione,
non riesco
ad
immaginare
un epitaffio
più sublime,
non esiste
una sola
parola di
più, ne una
di meno, ne
un senso che
minimamente
possa essere
modificato,
facendo si
che una
parola venga
prima o dopo
un'altra. E
il tutto nel
dipingere
senza
citarlo il
concetto più
triste,
morte. Ho
l'onore di
vedere ogni
giorno
questo
scritto, ho
l'onore di
esserne un
puntiforme
seguito,
ogni mattina
quando
indosso la
mia seconda
pelle che è
fatta di
colori
desertici,
mi chiedo
veramente
quanto io
sia degno di
portarla...
di fronte ad
alcune
espressioni
di
magnificenza
ti puoi
sentire
solamente
inadeguato,
e nel
chiudere i
tuoi bottoni
e allacciare
i tuoi
anfibi
capisci i
tuoi limiti
nel
comprendere
quanto fango
e sangue
devi
macinare
prima di
dire di te
stesso "sono
un diavolo
rosso".
Cap. Luigi
Moi (151°)
CAGLIARI, 9
MARZO 2014
Nella foto:
la parete
dello
scalone
d'onore
della
Caserma
Monfenera,
sede del
151°
Reggimento
Fanteria
Sassari,
decorata dal
soldato-artista
Raimondo
Picci. Al
centro la
Bandiera di
Guerra
portata da
un alfiere
con
l'attuale
uniforme in
uso, a sx le
motivazioni
delle due
Medaglie
d'Oro al
Valor
Militare, a
dx la
motivazione
della
concessione
dell'Ordine
Militare
d'Italia e
della
Medaglia
d'Oro al
Valore
dell'Esercito.
SALUTO AL
TEN. COL.
MAURO
CABIDDU
CHE LASCIA
IL 151°
CAGLIARI,
5 APRILE
2014 -
Il 4 Aprile
il Ten. Col.
Mauro
Cabiddu
(NELLA FOTO
PRIMO DA SX)
ha lasciato
il suo
incarico di
vicecomandante
del 151°
Fanteria per
cominciare
una nuova
sfida
professionale.
Questo il
saluto che
gli ha
voluto
dedicare
il Cap.
Luigi Moi,
uno dei suoi
collaboratori
.
"Se sono di
sabbia le
tempeste,
per aver
occhi
limpidi,
occorre che
esse
scemino. Se
son di mare,
che plachi
il vento che
polverizza
l’acqua,
lasciando
che la
stessa si
posi tra le
sabbie. Cosi
occorre fare
per le
scosse
dell’animo.
Prendere un
momento
perché le
stesse
possano
decantare e
lasciare
spazio alla
reale
percezione
delle cose.
Oggi posso
salutarla. A
lasciarsi
trasportare
dalle
emozioni non
sarebbero
mai state
sufficienti
le lacrime
per colmare
la tristezza
di quell'ultimo,
toccante e
meritato
saluto. La
gloriosa e
meravigliosa
Bandiera di
Guerra che
esce a
rendere
omaggio a un
soldato per
il quale è
semplicemente
adatto il
silenzio
degli onori
riservati a
rendere
omaggio a
una persona
superiore.
Gli uomini
che l’hanno
servita
possono
solamente
cercare
invano di
trovare
parole che
siano degne
di
rappresentare
il
sentimento
di un
distacco che
peserà nel
cuore prima
che nel
servizio.
Nell'autoironia
che l’ha
sempre
contraddistinta
mi
piacerebbe
permettermi
una battuta:
forse non
tutte le
leggi della
fisica sono
state ancora
definite, ne
creerei una
ad hoc; la
portata del
cuore di
alcuni
uomini è
inversamente
proporzionale
alla
lunghezza
delle loro
gambe! La
vita ci da
l’opportunità
di
interagire
con una
miriade di
persone,
tante
inutili,
talune
importanti,
pochissime
fondamentali,
non solo per
ciò che ci
danno, ma
per ciò che
ci insegnano
su noi
stessi. Ho
conosciuto
tanti uomini
nella mia
vita, e non
ho
difficoltà a
dire che se
ognuno di
essi avesse
avuto la sua
lucidità nel
comprendere
la vita,
nell'essere
comandante e
umile
discepolo,
nell'amare e
servire
incondizionatamente
la Bandiera,
non per il
sacrificio
che si offre
ma per il
poco che si
vuole
regalare
alla vita.
Capo, forse
basterebbero
mille
soldati come
lei per
costruire un
esercito
invincibile.
Le auguro
dal più
profondo del
cuore non
che sappia
dare ancora
ciò che ha
dato finora,
è già certo,
ma che chi
avrà la
fortuna di
lavorare con
lei sappia
apprezzare
ciò che lei
offre. Buona
fortuna!
Cap.
Luigi Moi
CAGLIARI, 22 AGOSTO 2014 - Il capitano Luigi Moi, l'ufficiale
nuorese del 151° Reggimento Fanteria "Sassari" è stato promosso
maggiore. La consegna del grado è stata fatta, davanti al
Reggimento, schierato per la cerimonia dell'alzabandiera nella
piazza d'armi "Col del Rosso" della Caserma Monfenera, dal 51°
Comandante del Reggimento, Col. Francesco Bruno, e dal Sottufficiale
di Corpo, Luogotenente Pietro Mulas, entrambi in tenuta ginnica,
come i loro uomini pronti per un'attività di preparazione fisica.
Il Magg. Moi, nel suo profilo FB, aveva commentato in questo modo la
notizia della promozione: "e così da oggi è ufficiale. Nella vita
è la normalità andare avanti nel proprio lavoro, ma la verità è che
oggi, appena ho ricevuto la missiva, ho semplicemente realizzato che
era terminato il tempo della mia carriera nel grado più bello. Che
da oggi non potrà esistere più quel sogno, ancora per un giorno,
anche per un solo momento, di comandare la mia adorata compagnia...".
Durante la cerimonia il 151° ha salutato anche l'arrivo di un nuovo
ufficiale, il tenente Emanuele Marcias, e la partenza di una
volontaria, il caporale VFP4 Sara Miano, vincitrice di concorso per
l'ingresso nella Polizia di Stato.
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