SILVIA AMADORI
MASSIMILIANO CARBONI
ROSSELLA LAQUALE
ELISABETTA LOI
NICOLO' MANCA
LUIGI MOI
VALENTINA MURA
DEBORA MUSU
EBE PIERINI
ALBERTO PINNA
MARIO PINNA
OLIVIERO PLUVIANO
MAURIZIO SULIG
PAOLO VACCA
NICOLO' MANCA
28°
COMANDANTE DELLA BRIGATA SASSARI E PRIMO SARDO
SINNAI, 15 MARZO 2017 - L’articolo sul “Campo Rossi” pubblicato
l’11 c.m. dall’“Unione”* (pag. 20) mi ha fatto tornare con la memoria ad
alcune precisazioni contenute in una mia lettera che sempre l’“Unione”
ebbe la cortesia di pubblicare il 13 luglio 2010. Allo scopo di
aggiornare i lettori sulla realtà della situazione del comprensorio
ritengo utile, nella mia semplice veste di socio del “Campo Rossi”,
rettificare e integrare alcune affermazioni contenute nel recente
articolo.
Anzitutto è da precisare che il comprensorio non è mai stato “chiuso ai
frequentatori militari in servizio e ai soci civili”, neanche nei giorni
in cui sono stati effettuati gli interventi sui pali e sull'impianto di
illuminazione dei campi da tennis, il cui utilizzo, tuttavia, nel corso
dei lavori è stato inevitabilmente condizionato. E' opportuno inoltre
che i lettori sappiano che nel “Campo Rossi”, in aggiunta ai campi di
varie discipline sportive, si trovano anche gli impianti del Centro
Ippico Militare e le strutture del Centro di preselezione degli
aspiranti volontari in ferma prefissata (VFP) isolani, nonché la
palestra in cui vengono effettuate le periodiche prove di verifica
dell’efficienza fisica dei militari dell’Esercito in servizio nel
capoluogo di regione. Il “Campo Rossi”, infatti, è la sede distaccata
nell’isola del Centro nazionale di selezione di Foligno, soluzione che
privilegia la Sardegna per la valutazione fisica dei volontari sardi,
consentendo agli stessi di non dover sostenere i costi derivanti da una
altrimenti onerosa trasferta nella Penisola. Superfluo sottolineare che
a partire dallo scorso anno sono stati esaminati oltre 1500 aspiranti
VFP nel cosiddetto “Palasport” (che secondo l’anonimo articolista
sarebbe invece “chiuso da una decina d’anni”).
Per quanto attiene al Centro ippico non è altrettanto trascurabile il
fatto che, di recente, i vertici della Difesa abbiano autorizzato la
prosecuzione delle attività equestri presso il Campo Rossi, favorendo la
prosecuzione dell’ippoterapia dei disabili locali, sostenendo ancora la
Sardegna, recependo specifiche istanze avanzate da rappresentanti
isolani. Può infine interessare i lettori dell’”Unione” che,
contrariamente a quanto asserito, in relazione ad una specifica
richiesta è in corso di perfezionamento un accordo di “permuta”
(burocratica e ineludibile formula imposta dalla legislazione vigente)
in favore della scuola calcio di Mario Brugnera, agevolando i
giovanissimi praticanti del pallone.
Ritengo quindi che la caduta del palo della luce avvenuta il 25 febbraio
scorso, incidente alla base delle critiche da parte del misterioso
articolista, possa essere annoverata come uno shakespeariano “tanto
rumore per nulla”, anche perché allo sciagurato imprevisto, imputabile
al poderoso maestrale che a Cagliari ha devastato anche il centralissimo
largo Carlo Felice, è stato posto rimedio con tempestività ( o “in
fretta e furia”, se così preferisce l’estensore del pezzo). A questo
punto non mi resta che riproporre l’invito che il 13 luglio di sette
anni fa rivolsi ad altri interlocutori: mai limitarsi a dare uno sguardo
al Campo Rossi da Via Tramontana.
Presumo che il Comando Militare della Sardegna sarebbe ben lieto di
accrescere le attività ludico sportive nel sedime e non credo si
opporrebbe a far visitare il comprensorio, peraltro frequentato da un
gran numero di “ospiti” non militari, a qualunque operatore
dell’informazione.
Con viva cordialità
Gen. D. (ris.) Nicolò Manca (già primo comandante sardo
della Brigata Sassari)
* Il quotidiano cagliaritano L’Unione Sarda, fondato nel 1889.
Secondo le rilevazioni della società Accertamenti Diffusione Stampa
(ADS), che dal 1975 certifica i dati di diffusione e tiratura della
stampa pubblicata in Italia, L'Unione nel 1996 vendeva 64.509 copie,
40.568 nell'ottobre 2016.
BUONSENSO E IPOCRISIA
SINNAI, 9 GIUGNO 2016 - Sulla “Nuova” del 7 giugno nel descrivere
(pag. 36) l'ultimo arrivo di migranti ad Olbia, Luigi Soriga contrappone
la considerazione di un Angelo Custode dei Guardian Angels (“che
tenerezza questi che fuggono dalla guerra”) a quella di un Diavolo
Rosso dei Rothen Teufel della SASSARI (“fuggono dalla guerra ...poi
li vedi qui con gli smartphone costosi ...vestiti bene”; il
riferimento è ad un'immagine che ritrae tre giovani e aitanti migranti
seduti in una piazza sassarese concentrati sugli schermi dei loro
smartphone. Ad un primo impatto non c'è partita: la bontà dell'Angelo
Custode batte il realismo del Diavolo Rosso uno a zero. Forse però non
guasta proporre qualche riflessione che, con la brutalità dei numeri,
potrebbe indurre i due ad una identità di vedute.
Metà del miliardo e trecento milioni di africani ha gravi problemi di
sopravvivenza alimentare e 600 milioni di loro vivono in abitazioni
prive di elettricità e acqua; inoltre gran parte delle nazioni del
continente nero sono martoriate da guerre civili, terrorismo e carestie.
Inevitabile quindi che queste centinaia di milioni di diseredati per
sfuggire ad un futuro senza speranza aspirino a raggiungere la vicina
Europa e la vicinissima Italia, ed oggi più di ieri perché hanno la
certezza che le navi della Marina Militare italiana accorreranno fin
sotto le coste libiche per recuperarli prima che i barconi dei
terroristi dell’Isis affondino.
Ciò premesso è comprensibile che il buonismo dell'Angelo Custode
propenda per un’accoglienza senza-se-e-senza-ma, che tuttavia, si badi
bene, innesca l'automatismo “più migranti più accoglienza - più
accoglienza più migranti”, automatismo alimentato dall’inesauribile
bacino africano. E poco importa se, esaurite le commiserazioni di rito
per l’atroce morte per annegamento di migliaia di neonati, di donne e di
disperati (si valutano 10.000 - 25.000 vittime), si alimenta ancora il
buonismo che tiene in vita questo automatismo. Con quali effetti? In
Italia il problema migranti è al collasso e il relativo costo è sempre
più insostenibile (per il solo vitto-alloggio per i circa 150.000
migranti assistiti si spendono due miliardi e mezzo di euro all'anno,
senza tener conto dei costi relativi al recupero a mare, all'assistenza
sanitaria, alla sicurezza, agli sbandati che sfuggono ai centri di
accoglienza, al dilagare della prostituzione, senza scordare quel 33%
della popolazione carceraria “italiana” composta da... non italiani). In
parallelo fa riflettere anche sapere dall'Istat che oltre un milione di
bambini italiani vivono al di sotto della soglia di povertà!
Ovvio quindi che se anche si volesse aiutare solo l'1% dei 600 milioni
di africani di cui sopra, l'Italia e l'Europa dovrebbero accogliere 6
milioni di migranti, col risultato, anzitutto, di non risolvere il
problema migrazione africana e, secondariamente, di destabilizzare
definitivamente il nostro già traballante sistema socio-economico.
Quindi forse è da rivalutare il realismo-buonsenso del Diavolo Rosso che
credo pensi sia da preferire la soluzione “stop alla migrazione di
massa e si al massimo aiuto, sul posto, ai paesi in difficoltà”,
soluzione verso la quale sembra si stia finalmente orientando anche
l'Europa. I costi resterebbero certamente elevati, ma si otterrebbero
risultati sicuramente migliori e, soprattutto, si risparmierebbe
un'orribile morte per annegamento a migliaia di neonati, bambini, donne
e vecchi. Tralascio volutamente i tre giovani validi criticati dal
Diavolo Rosso perché penso che loro dovrebbero battersi a casa loro
contro le dittature, la corruzione e il terrorismo, principali cause
dello sfacelo del continente africano. Se lo facessero, forse un domani
qualcuno potrebbe scrivere anche di loro “eran tre, erano giovani e
forti e ...” ma loro hanno scelto di non combattere per liberare la
loro patria da corruzione, dittatura e terrorismo.
Gen. D. (ris.)
Nicolò Manca
Nelle telecronache delle bestialità commesse dall’ISIS
(decapitazioni, annegamenti, rapimenti e traffico di donne e bambini,
animalesca distruzione di opere d’arte) veniamo aggiornati
quotidianamente anche sulle contromisure militari adottate da varie
nazioni. Oltre all’Egitto e alla Turchia, la Russia di Putin è già
impegnata con uomini e mezzi, e così l’America di Obama con i droni,
mentre David Cameron e Francois Hollande hanno dato il via alle
rispettive aviazioni. Non appena la nostra classe politica si è
affrettata a dichiarare che anche stavolta l’Italia non parteciperà alle
operazioni, sono andato a ripescare la lettera di un pilota della nostra
aeronautica pubblicata dal “Foglio” il 24 aprile 1999, dopo le guerre
nel Golfo, in Bosnia e in Kosovo. Alcuni passaggi: “…e noi siamo
sempre rimasti al palo… Al bar della base c’è sempre un alleato che ci
prende per il culo… Io chiedo soltanto di non dovermi sentire un vile e
di dimostrare di essere all’altezza se non meglio degli altri… Perché i
miei superiori tacciono e accettano di restare con le mani in mano tutta
la vita. Con che faccia guardano i loro pari grado stranieri?”
Tremenda la conclusione: “Ma tanto, ormai, per gli alleati noi siamo
un’altra volta i soliti italiani... sempre che alla fine non cambino
alleanza. Gli italiani sono grandi in quelle cose ”.
Per la verità già prima, il 20 maggio 1991, sul “Mattino” di Napoli un
colonnello dell’esercito aveva commentato la nostra latitanza nella
Guerra del Golfo con una conclusione non meno amara: “Ciò detto, il
mio orgoglio di far parte dell’Esercito Italiano comincia ad accusare,
dopo 31 anni di uniforme, durissimi colpi; e se dovessi affermare che
scalpito al pensiero di poter diventare generale in questo esercito già
ricco di colonnelli e di generali, mentirei”.
Ma si deve ammettere che la nostra operatività militare è
irrimediabilmente condizionata dal bilancio della difesa: in Europa solo
la Spagna spende meno di noi (0,9% del PIL). Il Regno Unito è al 2.4, la
Grecia al 2.3, la Francia all’1.9, la Polonia all’1.8, la Danimarca
all’1.4, la Germania all’1.3. Noi siamo all’1.2%, ma con il chiaro
orientamento a tagliare ancora il bilancio della Difesa “senza però
ridurre l’efficienza dello strumento”. Uno slogan ipocrita che da
decenni consente ai nostri vertici istituzionali di dar da bere di poter
fare le nozze con i fichi secchi.
Solo la nostra Marina naviga a gonfie vele, impegnata a tempo pieno “nel
salvataggio di vite umane nel Mediterraneo”. Considerato che la sola
Africa conta un miliardo e trecento milioni di abitanti, temo che
l’edificante impegno in questione protrarsi sine die, con l’eventuale
impiego, ove necessario, anche della portaerei Cavour, unità dotata di
una quarantina tra aerei ed elicotteri, che ha inciso in misura
devastante sul bilancio della Difesa (e forse per questo l’Esercito ha
difficoltà a pagare le bollette della luce e a corrispondere
tempestivamente l’indennità di 23 euro giornalieri spettanti ai
professionisti impegnati nella missione “Strade Sicure”).
Ma per la nostra classe politica incombono spese prioritarie che non
consentono di fare di più per la Difesa e, mi si consenta
l'accostamento, per gli otto milioni di italiani che vivono al di sotto
della soglia di povertà. Un esempio per tutti: i costi plurimiliardari
dell'indotto che ruota intorno ai
rifugiati-clandestini-migranti-richiedenti asilo, a partire dal
vitto-alloggio-assistenza sanitaria a finire a quel 35% di popolazione
carceraria costituita da non-italiani ospiti dei nostri istituti di
pena.
Stando così le cose non resta che riconoscere l'attualità del grido di
dolore affidato a “Il Giornale” del 27 luglio 1995 da un altro militare,
il ten. col. paracadutista Luigi Chiavarelli: “Ma quando diventeremo
un popolo serio?”. (13/09/2015)
Gen. D. (ris.) Nicolò Manca
(già comandante della Brigata SASSARI)
MIGRANTI
EXTRA-COMUNITARI E MILITARI DELL’ESERCITO ITALIANO
di NICOLO' MANCA
SINNAI, 2 SETTEMBRE 2015 - Poiché de
minimis non curat praetor credo che il Presidente Renzi non sia al
corrente del fatto che ai nostri militari, impegnati in aree spesso
lontane dalle rispettive sedi stanziali nella missione “Strade sicure”,
l'indennità spettante per il servizio fuori sede viene corrisposta con
inaccettabile ritardo . Un'indennità modesta (23 euro!) ma
“comoda” soprattutto per i militari sposati. E come i volontari della
Brigata SASSARI inviati in Campania aspettano per troppi mesi che venga
loro dato il dovuto, così quelli della FOLGORE impegnati per l’esigenza
“EXPO” si adattano anche, quasi fossero in missione di pace, a
sistemazioni sotto tenda … mentre non si lesinano alberghi, residence e
quant’altro per ospitare a tempo indefinito la massa crescente dei
clandestini-migranti ai quali, inoltre, vengono fornite con tempestività
sigarette, spese telefoniche e altre “competenze”.
Il tutto, sia detto per inciso, mentre otto milioni di italiani,
riferisce l'Istat, vivono al di sotto della soglia di povertà. A parte
la crescente gravità del problema clandestini, ormai fuori controllo in
Italia e in Europa, mi chiedo cosa accadrà ancora quando non le poche
decine o centinaia di migliaia di migranti accolti finora, ma le
centinaia di milioni di africani con problemi di sopravvivenza saranno
consapevoli della convenienza di fuggire dai loro disastrati paesi di
origine per riversarsi nel Vecchio Continente. Il miraggio di vitto,
alloggio, assistenza sanitaria e istruzione scolastica gratuiti avrà
certamente effetti dirompenti sul miliardo e trecento milioni di
africani. Ad aggravare la situazione potrebbe sommarsi una ciliegina
sulla torta che viene riproposta con insistenza: quella amnistia
giubilare che farebbe uscire dalle nostre case di detenzione una parte
di quel 35% di popolazione carceraria costituita da non italiani. Poiché
c'è il rischio, o meglio la certezza, che il provvedimento abbia quale
effetto collaterale l'incolumità o la vita di qualche cittadino onesto,
mi piacerebbe conoscere le proposte dei nostri vertici istituzionali
nonché del Vaticano per affrontare concretamente e responsabilmente sia
nel breve che nel lungo periodo i problemi in questione.
Gen. D. (ris.) Nicolò Manca
(già comandante della Brigata SASSARI)
Dal diario del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito
Finalmente a casa, nel mio ufficio di via XX Settembre. Il display dell’orologio sulla scrivania segna le 21.15 di martedì 9 settembre 2014. I danni causati dal maltempo in Puglia hanno scombussolato la mia agenda. Sono stanco. Il lavoro di Capo di SME non è di tutto riposo, anche per colpa delle scartoffie. Darò uno sguardo solo alle cose più urgenti. Voglio che la circolare che ho in mente da tempo per la “Questione Sardegna” sia diramata al più presto. Vediamo l’appunto che mi hanno preparato.
OGGETTO: Ipotesi di dismissione delle aree addestrative in Sardegna. Predisposizioni relative all’eventuale reimpiego sul territorio nazionale del personale di stanza nell’isola.
A TUTTI I REPARTI INTERESSATI
1. La crescente pressione politica e mediatica sviluppata in Sardegna dal governo regionale e dalla stampa locale in ordine alla necessità di “restituire” alle collettività le infrastrutture e le aree addestrative dislocate nell’isola, rende necessario predisporre misure idonee ad evitare un possibile scadimento degli standard addestrativi e soprattutto dell’efficienza operativa della Brigata SASSARI, pedina fondamentale della Forza Armata.
2. Il problema dell’eventuale ridislocazione del personale nella Penisola, pur rivestendo delicati aspetti umani per i risvolti affettivi e finanziari che penalizzerebbero gli interessati, non si presenta di difficile soluzione, anche per la notevole disponibilità di caserme non utilizzate. Più problematico appare invece il reperimento di aree addestrative sia sul territorio nazionale sia nell’ambito dei paesi alleati o amici.
3. Al fine di affrontare il delicato problema della possibile ridislocazione dei reparti, si rende necessario interpellare la totalità del personale in servizio nell’isola in merito al gradimento di tre sedi, in ordine decrescente di preferenza, ove ciascuno gradirebbe, in caso di necessità, essere trasferito. Considerate le note carenze organiche dei reparti alpini e le “origini triestine” del 151° Reggimento della SASSARI, si rammenta l’opportunità di privilegiare le sedi di Trieste e della fascia alpina.
4. L’indagine in esame dovrà essere completata entro il 31 ottobre prossimo. Il Dipartimento Impiego del Personale dovrà proporre il relativo studio di fattibilità entro il corrente anno.
Ok. Mi sembra possa andare … ma mi secca che la questione abbia preso questa piega. Mi hanno riferito che oggi il più diffuso quotidiano isolano ha distribuito un manifesto “contro le servitù militari”. Chissà se presto ne distribuirà degli altri “contro Portovesme” o contro qualunque insediamento fonte di inquinamento di terra-mare-aria . Non vorrei che qualche volontario sardo dichiarasse forfait e si rifiutasse di passare il mare. I sardi sono magnifici soldati e guai se la forza armata ne perdesse uno. Ma se il desiderio della Sardegna è questo …. pazienza! Non posso continuare a combattere contro i mulini a vento. Forse ci sono interessi in gioco. Più di un imprenditore sarebbe con le antenne diritte: a Cagliari la caserma “Ederle” di Calamosca, a Teulada le Sabbie Bianche di Porto Pino ecc. Peccato però che nel Consiglio Regionale sardo e nei centri che controllano l’informazione non abbiano meditato sul problema. Si è concesso troppo spazio ai demagoghi che evitano di citare dati, numeri, opinioni tecniche di organi qualificati. Forse in pochi hanno letto quella paginetta che Manca ha scritto per i siti web “conlabrigatasassari” e ”tottusinpari”. Un vero peccato! Pare che tutti i guai della Sardegna possano essere risolti in quel 4% di coste e in quello 0,5% di territorio di proprietà del demanio militare. Il problema delle servitù invece si poteva rimettere sul tavolo per incrementare i vantaggi economici della presenza militare. Tra militari e civili della Difesa, Esercito, Marina e Aeronautica mettono insieme una decina di migliaia di stipendi, forse di più. Per la Sardegna sarebbe una mezza catastrofe. Neanche la lezione di La Maddalena (americani spariti + inquinamento inesistente = impoverimento dell’isola) ha insegnato nulla. Un domani i Sardi sapranno chi ringraziare per questi obiettivi finalmente raggiunti.
A
questo punto i cani del canile ubicato vicino alla mia abitazione, a
Sinnai, si sono scatenati nel solito abbaiare furibondo… ed io mi sono
svegliato. Cavolo! Era un sogno! Non sono il Capo di SME, non ero così
bravo per diventarlo. Sono solo Nicolò Manca, generale in pensione, già
primo comandante sardo della Brigata SASSARI. Però, lo confesso, se
fossi stato il Capo di SME questa direttiva l’avrei diramata subito.
Gen.D. (ris.) Nicolò
Manca (già primo Comandante sardo della Brigata Sassari)
LATORRE E GIRONE: DA DUE ANNI CONTINUA ABULIA POLITICI SU
VICENDA
di NICOLO' MANCA
"Fratelli d'Italia l'Italia s'è
spenta,
Latorre e Girone s'è tolta di testa".
Versi di tenore analogo o più goliardico e dissacrante forse
sono venuti in mente ai commilitoni dei nostri due soldati,
anche loro amareggiati per il lungo periodo trascorso in
India dai due marò, a causa principalmente, come va
ripetendo qualche analista, dei contrasti politici esistenti
tra il governo di Nuova Delhi e quello dello stato del
Kerala. Da quasi due anni il mondo assiste distratto allo
spettacolo offerto dalla fiacca diplomazia italiana,
adagiata in una abulia scandita da auspici, fiduciose attese
e periodici accompagnamenti in India dei familiari dei due
marò.. Anche se pochi mesi fa si dava per scontato che
Girone e Latorre avrebbero festeggiato a casa il Natale, al
presidente Napolitano è toccato anche quest'anno di
rinnovare ai due militari l'augurio di un “prossimo” ritorno
in Italia. Per quanto riguarda l'operato del nostro governo,
non si può non sottolineare l'impegno volitivo e puntiglioso
del nostro ministro degli Esteri nella vicenda che ha
coinvolto.... la moglie del dissidente kazako Mukhtar
Ablyazov! Notevole il risalto dato dalla stampa nazionale
anche alla visita ufficiale effettuata dalla Bonino in Iran,
paese col quale l'Italia non ha contenziosi particolari. E'
da dire tuttavia che anche le iniziative individuali e
collettive promosse in Italia a favore dei due marò si sono
infrante contro il muro di gomma dei nostri vertici
istituzionali.
E' significativo il tenore di un comunicato apparso a pag.
56 della Gazzetta Ufficiale n. 241 del 14 ottobre 2013:
“...sono stati revocati i decreti del Presidente della
Repubblica …per la parte relativa al conferimento della
onorificenze di Cavaliere, di Ufficiale e di Commendatore
dell'Ordine “Al merito della Repubblica Italiana” al Gen.
Div. Nicolò Manca, per rinuncia da parte dell'interessato”.
Non sarebbe stato male soddisfare la comprensibile curiosità
del cittadino-lettore circa la motivazione di quella
rinuncia formulata da chi scrive il 3 maggio del 2013:
“...in segno di protesta contro la condotta carente di
coraggio e di orgoglio seguita dal Governo Italiano nella
vicenda che ha coinvolto i marò Salvatore Girone e
Massimiliano Latorre...”.
NICOLO' MANCA
(Primo comandante sardo della Brigata SASSARI)
Sinnai, 6 Gennaio 2013
"BARBE E BAFFI
MILITARI"
di NICOLO' MANCA
(INTERVENTO DEL 28° COMANDANTE DELLA
BRIGATA SASSARI DOPO UN ARTICOLO APPARSO SUL FATTO QUOTIDIANO)
SINNAI, 21 LUGLIO 2013 - Confesso di non conoscere Toni
De Marchi (so solo che ha la barba) ma credo di conoscere quel
Vincenzo Lops (che ha i baffi) oggetto degli strali del “Fatto
Quotidiano” del 18 u.s. per via di una direttiva incentrata,
manco a dirlo, su barba e baffi. Se prima di scrivere del
generale Lops, De Marchi si fosse preso la briga di documentarsi
su di lui, penso che la sua caratura giornalistica ne avrebbe
tratto beneficio. Conoscendo Lops dal 1983 mi sbilancio in un
sintetico tentativo di colmare la comprensibile lacuna del
dottor De Marchi.Lops è stato uno dei cinque comandanti di
compagnia del battaglione “Governolo” che nel 1982 fece da
battistrada alle missioni di pace all'estero.
Ricordo a De Marchi che:
- erano i tempi delle stragi di Sabra e Shatila;
- mentre il Libano era in fiamme, Lops (gratificato
nell'articolo da un elegante “ma ci fa o ci è?”), insieme agli
ufficiali, sottufficiali e bersaglieri del “Governolo”, agli
ordini del colonnello Tosetti, si dovette districare tra
terroristi sanguinari e israeliani intransigenti decisi a tutto.
Un ambiente operativo del tutto sconosciuto all'esercito
italiano chiamato al suo primo impegno fuori area dopo il
secondo conflitto mondiale. Solo uomini con attributi di tutto
rispetto potevano gestire quel ginepraio.
Per farla breve mi limito a dire che durante la sua carriera
Lops ha ricoperto incarichi di prestigio e svolto varie missioni
all'estero con incarichi di comando (Balcani, Irak).
Da quando ho lasciato il servizio attivo ho avuto occasione di
chiedere più volte agli uomini che lo hanno avuto come
comandante un giudizio su di lui. La risposta è sempre stata la
stessa: “ E' duro ma è anche il comandante che vorrei avere in
operazioni”. Perché ? “Perché molte volte me lo sono trovato a
fianco durante le pattuglie o a bordo del Lince. Perché è uno
che lavora, veste e mangia come e con i suoi soldati”. E questo
è un giudizio condiviso anche da molti dei suoi comandanti, me
compreso, quando ho avuto la fortuna di averlo alle dipendenze.
Lops, carattere non facile da pugliese incazzoso (per
intenderci, dottor De Marchi: uno che non si commuove
facilmente, e tanto meno quando scrive), vive solo per i suoi
soldati e per la missione da assolvere. Chi gli affida un
compito può voltarsi dall'altra parte e risparmiarsi la fatica
di controllare il suo operato, perché la sua lealtà e le sue
capacità sono fuori discussione.
Ho scritto di Lops in varie occasioni e in tempi non sospetti, a
partire dal 2001 (“Da Calamosca a Calamosca – Alla ricerca di un
Esercito” Ed. Testo e Immagine -Pag 147) e sono più che mai
convinto che l'ironia di De Marchi sia stata fuori luogo e abbia
arrecato un piccolo danno alle forze armate e all'Italia, almeno
a quell'Italia che all'estero gode ancora di un po' di prestigio
(a meno che di questo residuo prestigio si voglia dare merito ai
nostri politici o ai nostri banchieri o alla nostra macchina
statale o al nostro apparato giudiziario). Certo è che in Italia
non si ha bisogno di ironia e di sarcasmo ma di proposte, perché
occorre costruire per riscoprire l'orgoglio dilapidato con
l'inflazione di polemiche degne di più nobili cause. Perché, ad
esempio, non battersi per la causa Girone-Latorre? Ho provato un
brivido a leggere la dichiarazione della Bonino “fiduciosa che i
due marò siano restituiti all'Italia in tempi rapidi -ha detto
proprio così: tempi rapidi- entro il prossimo Natale”.... in
pratica dopo appena due anni, se va bene, dal noto incidente
occorso in acque internazionali! (Gli Usa hanno impiegato 24 ore
per “recuperare” da Panama Seldon Lady, condannato in Italia a
nove anni di carcere per un reato commesso a Milano).
Temo che su alcune questioni anche la stampa nostrana abbia
qualcosa da farsi perdonare in fatto di omissioni o reticenze
tese a non disturbare il manovratore. A proposito, dottor De
Marchi, anche il suo irriverente accenno alla morte di
Alessandro La Marmora mi è parso fuori luogo. Consideri che
molti soldati sono morti sui campi di battaglia anche di colera
o di tifo petecchiale, e non per una “gloriosa” pallottola in
fronte, ma ciò non toglie nulla alla sacralità della loro morte,
alla quale sarebbero sfuggiti se fossero rimasti a casa.
A costo di scandalizzare Toni De Marchi oso ipotizzare che il
residuo prestigio di cui gode l'Italia sia attribuibile in non
trascurabile misura proprio ai nostri soldati, bersaglieri,
alpini, paracadutisti, marinai, conosciuti e stimati più nei
contesti internazionali che in casa nostra, soldati che si
chiamano ( alcuni si chiamavano) Vincenzo Lops, Alessandro
Pibiri, Luca Sanna, Gianfranco Paglia, Manlio Scopigno, Luciano
Portolano, Massimiliano Latorre, Salvatore Girone..... e mi
fermo per non fare torto ai molti ufficiali, sottufficiali e
volontari impegnati all'estero.
Penso che la reazione di Lops all'articolo del Fatto Quotidiano
si sia tradotta in uno dei suoi rari sorrisi della serie “ma
guarda cosa devo sentirmi dire da uno che manco mi conosce e che
io manco conosco! Quasi quasi do l'esempio e mi taglio i baffi
.... però solo a patto che lui si tagli la barba”. Sottoscrivo,
dottor De Marchi: perché non ci fa un pensierino, giusto per la
nobiltà della causa?
E' singolare che un militare della “Sassari” che non si sarebbe
mai e poi mai tagliato la barba, si è deciso al grande passo
solo quando ha saputo dell'attacco del F.Q. Un innominabile
potrebbe tuonare: Lops traccia il solco, ma è il F.Q. che lo
difende. Senza offesa per nessuno!
Ammetto che la tentazione di proporre tagli di barbe viene anche
a me ogni volta che vedo le barbutissime foto di uomini islamici
ritratti insieme a donne di cui non si vede assolutamente nulla.
Stimolante, forse anche per Toni De Marchi, immaginare quali
pensieri attraversino la mente di quelle donne e riflettere
sull'evidente incongruenza tra la libera barba dell'uomo e il
meno libero abbigliamento che impedisce alla donna di mostrare
l'essenza del fascino femminile: gli occhi e i capelli.
Misteri della fede, direbbe un cristiano, anche se le primavere
arabe lasciano presagire segni di insofferenza.
Per concludere: a proposito di fede viene spontaneo parafrasare
il Vangelo di Giovanni dove si fa cenno ai lacci dei calzari:
qualcuno non è degno neanche di allacciargli gli anfibi o di
fargli la barba (pardon: i baffi) a Vincenzo Lops
Ed ora non mi resta che immaginare un secondo dei rari sorrisi
di Lops, quando leggerà questo mio sfogo: “Comandà, ma perchè
non ti fai i cazzi tuoi”.
Risposta: “Perché la pensiamo allo stesso modo, Vincè. E spero
che la pensi così anche l'ammiraglio Binelli Mantelli, anche se
non si può proporre a un marinaio il taglio dell'altrui e tanto
meno della propria barba”.
Bersagliere (super partes, in quanto sbarbato) Nicolò Manca
(già primo comandante sardo della Brigata Sassari)
PS A pensarci bene, ricordo anche alcuni giudizi critici su
Lops, provenienti quasi sempre dai suoi parenti. “Chi? Vincenzo?
E chi lo vede mai! Per lui la Patria viene sempre prima della
famiglia!”.
PPS Per esplicita richiesta di Lops, fino ad oggi 30 luglio non
ho diramato questo scritto. Mi induce a farlo una notizia fresca
di tg ma non commentata dal F.Q.: il ministro della Difesa si è
recato finalmente in India in forma privata per fare visita ai
due marò. Azz, signor ministro, direbbe De Marchi, non è che sta
esagerando a far la voce grossa. In fondo non sono passati
neanche due anni da quando Girone e La Torre.... Perché non
commentare anche questa faccenda.
GEN. MANCA: NELLA VICENDA GIRONE-LATORRE SENZA LIMITI L'AMBIGUITA' DEI POLITICI
CAGLIARI, 23 MARZO 2013 - Mi chiedo quali colpe debba espiare
il popolo italiano per meritarsi una classe politica così
fluttuante, sconsiderata, incoerente, senza orgoglio nè dignità nè
senso del pudore. Non ci sono limiti all'ambiguità. Rabbrividisco
immaginando i pensieri che hanno attraversato la mente di Girone e
di Latorre nel momento in cui sono stati "ceduti" di nuovo all'India
e provo anche ad immaginare come sarebbero andate le cose se anzichè
italiani i due marinai fossero stati israeliani o americani o
inglesi o francesi o ... o... o...
Possibile che ai nostri politici non dica nulla il fatto che Israele
non ha esitato a scambiare centinaia di pericolosi terroristi pur di
riportare a casa un suo soldato (dico uno) prigioniero! Come non
dice nulla l'atteggiamento intransigente fino alla temerarietà di
quei governi che non tollerano che qualcuno allunghi le mani sui
propri soldati. Inutile tentare di far capire a chi ci governa che è
ignobile abbandonare o barattare o dimenticare un soldato .... vivo
o morto. Da un' Italia terza nazione al mondo per numero di militari
impegnati in missioni di pace non si è levata una voce per
pretendere da ONU, NATO, USA, Europa ecc. di fare fronte comune per
piegare l'India al rispetto delle leggi valide nelle acque
internazionali. E in caso di reazioni evasive o dilatorie,
dall'Italia sarebbe dovuta partire una prima risposta secca: rientro
immediato in Patria dei diecimila militari impegnati fuori area,
ancor prima di sapere se-chi-quando-e-come potrebbe sostituirli.
Nella rabbia che suscita questa vicenda di cui sono responsabili
politici che hanno abbandonato la nave dell'orgoglio e della
dignità, mi torna in mente una frase sentita un anno fa e che oggi
faccio mia: "TORNATE SUBITO A BORDO, CAZZO! QUESTO E' UN ORDINE".
Gen.D. (ris.) Nicolò
Manca (già primo Comandante sardo della Brigata Sassari)
CAPPELLACCI E LE "SCAMPAGNATE AFGHANE" DELL'ESPRESSO
IL PRIMO COMANDANTE SARDO DELLA BRIGATA SASSARI
REPLICA AD UN ARTICOLO SULLA VISITA DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE AUTONOMA
DELLA SARDEGNA AL REGIONAL COMMAND WEST
SINNAI, 11 MARZO 2012 - Chi indossa o ha indossato l’uniforme si
sente a disagio quando viene sfiorato o in qualche modo coinvolto nella
bagarre politica e nei suoi effetti collaterali. Il disagio sconfina
nell’indignazione se entrano in gioco certe malcelate e ambigue prese di
distanza, per restare nell’attualità, nei confronti della vicenda dei
fucilieri di Marina Girone e Latorre. Suscita irritazione anche la chiave di
lettura faziosetta anzichenò che i due giornalisti dell’Espresso, Fantauzzi
e Managò, http://espresso.repubblica.it/dettaglio/al-governatore-piace-viaggiare/2176236//1
danno del viaggio effettuato ad Herat dal governatore sardo Cappellacci, nel
dicembre scorso, per portare il saluto della Sardegna alla Brigata Sassari
impegnata in Afghanistan. La SASSARI, lo sanno tutti, vuol dire SARDEGNA, un
legame che ogni governatore non può ignorare, prescindendo dai colori
politici. I due giornalisti, rifacendosi ad analoghe critiche mosse tempo fa
dai consiglieri regionali PD Sanna e Sabatini, hanno così sintetizzato il
viaggio in questione: “Il governatore si è fatto aviotrasportare da un C130
dell’Aeronautica militare. Poi, forse perché ci ha preso gusto, si è anche
fatto dare un passaggio in elicottero fino a Bala Murghab”. Il diario di
quel viaggio, ripreso da alcuni giornali e ignorato da altri di diversa
colorazione politica, è consultabile su internet (CON LA BRIGATA SASSARI IN
AFGHANISTAN, la pagina). Faccio una sintesi di quella
sintesi: sette ore su un volo Meridiana pieno fino all’orlo di volontari in
avvicendamento in Afghanistan. Sono voli in convenzione per l’ esigenza
missioni di pace delle Forze Armate. Altre sette ore in un container-sala
d’attesa ad Abu Dhabi aspettando che due C130 potessero decollare per Herat
in condizioni di sicurezza. Quattro ore imbracati come paracadutisti nel
frastuono assordante di un C130 strapieno dei volontari di cui sopra. Due
giorni ad Herat con giubbotto anti-proiettile ed elmetto sempre a portata di
mano. Viaggio a Bala Murghab ( dove un anno fa fu ucciso il sardo Luca Sanna)
su un elicottero da combattimento USA Black-Hawk al seguito del generale
Portolano comandante della Sassari. Portolano, sia detto per inciso, è un
ufficiale che procura all’Italia prestigio e rispetto come pochi. Bala
Murghab è la base dove opera una parte degli 8000 uomini di 11 nazioni posti
sotto il suo comando. Non so quanto gusto (come ipotizzano i due giornalisti
dell’Espresso) abbia preso il Governatore della Sardegna a quel volo
“sottozero” ( i portelloni dovevano restare spalancati per consentire ai due
mitraglieri di intervenire all’emergenza in tempo zero). Singolare
coincidenza spazio-temporale durante quel volo: sotto di noi l’attacco a una
pattuglia mista italo-afgana. Morto un afgano, un altro ferito gravemente e
il volontario italiano salvato dal giubbotto anti-proiettile. Viaggio di
ritorno in Italia: come per l’andata.
Due considerazioni per chi vuol intendere. La prima: a parte il fatto che
sulla Sardegna non incombono elezioni ravvicinate, forse non tutti sanno che
la gente in divisa ha un sesto senso per capire se uno recita una parte o se
sente qualcosa dentro. Suona offensivo scrivere “forse i soldati se ne
ricorderanno al momento del voto”. Offensivo per i soldati, naturalmente. La
seconda: non è onesto mettere sullo stesso piano, nascondendo o mistificando
la realtà, il viaggio di Cappellacci con gli altri di cui si parla
nell’articolo. E’ vero però che anche quello di Cappellacci ha avuto un
costo; ma in fatica, tanta, e in disagi, molti. Ma per non nascondere nulla,
va detta un’altra cosa: Cappellacci ha dormito nei containers-foresteria
della base e ha consumato i pasti nella mensa dei volontari. Ignoro il costo
di un pasto, ma non mi meraviglierei che l’intero soggiorno “alimentare”
sfiorasse i 100 euri. Evito di calcolare cifre precise, perché il
Governatore incriminato sarebbe capace di saldare il conto di tasca propria.
Da parte di uno che ha rinunciato all’indennità di Governatore e a servirsi
dell’auto blu c’è da aspettarsi di tutto. Ma queste sono cose che Fantauzzi
e Managò non sono tenuti a sapere.
Gen. D (ris.) NICOLO' MANCA (*)
(*) Primo comandante sardo della Brigata Sassari nonché compagno di viaggio
di Cappellacci nella "scampagnata afgana"
(OGNI RIPRODUZIONE E UTILIZZO VIETATI SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELL'AUTORE)
27-31 DICEMBRE 2011: SINNAI-BALA MURGHAB-SINNAI
IL DIARIO DI VIAGGIO DEL GENERALE MANCA CHE RACCONTA,
IN ANTEPRIMA ESCLUSIVA PER "CON LA BRIGATA SASSARI IN AFGHANISTAN", QUATTRO
GIORNI VISSUTI INTENSAMENTE
27 dicembre: tra le 12 e le 15 percorro la prima tappa
Sinnai-Elmas-Fiumicino. Nell’aeroporto romano, Ugo Cappellacci, presidente
della Regione Autonoma della Sardegna, Antonello Lai, giornalista, ed io,
comandante della Brigata Sassari dal 1993 al ‘95, ci imbarchiamo, insieme a
150 soldati della SASSARI, su un Airbus di Meridiana diretto ad Abu Dhabi.
E’ con noi un terzetto capeggiato dal presidente della Provincia di
Pordenone. Dopo sette ore di volo, facciamo una sosta di altrettante ore
nell’aeroporto militare di Al Bateen.
28 dicembre: ore 10.00 locali: due C130 dell’Aeronautica Militare
decollano verso Herat (altre quattro ore di volo da sconsigliare caldamente
agli amanti del confort). Arriviamo alla base di Camp Arena di Herat nel
primo pomeriggio. Temperatura poco sotto lo zero. Immediata conoscenza dei
12-15 chili di giubbotto antiproiettili-più-elmetto. Briefing del generale
Luciano Portolano, comandante della Sassari e del Regional Command West:
“8000 uomini di 11 nazioni operano sotto il mio comando in un’area vasta
quanto l’Italia settentrionale. La SASSARI costituisce il 51% della forza.
Dispongo inoltre di altre unità dell’Esercito, dell’Aeronautica, della
Marina, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Posso contare - spiega
Portolano - sugli elicotteri d’attacco Mangusta del 5° Rigel di Pordenone,
sui nostri caccia, sui Mirage francesi e sui B1 americani. Il teatro
operativo del Regional Command West è tenuto sotto osservazione da un
articolato sistema di ricerca e controllo ad alta-media-bassa quota.
L’ambiente operativo è severo. Qui a Camp Arena di notte è in atto
l’oscuramento perché più volte siamo stati bersagliati con bombe da mortaio
e da missili rpg”.
29 dicembre: Il generale Portolano ha in programma una visita al
151°, nella base di Bala Murghab, nell’estremo nord del settore, a più di
un’ora di elicottero. Per arrivare laggiù via terra i convogli per i
rifornimenti impiegano 12 giorni! Queste sono le strade e l’orografia
dell’Afghanistan. Ci imbarchiamo su due Black Hawk americani. Per strada
facciamo una sosta lampo per “fare benzina” nella base di Calinav,
presidiata dagli spagnoli. Il clima è surreale: allontanarsi velocemente
dagli elicotteri e altrettanto velocemente risalire a bordo per il decollo.
I mitraglieri brandeggiano le armi sporgendosi dai portelloni.
All’improvviso poco più avanti della nostra formazione un B1 americano si
impenna verso il cielo. Il generale Portolano ci dice che il caccia ha
appena eliminato un nucleo di terroristi che ha attaccato una pattuglia
italo-afgana in movimento nell’area che stiamo sorvolando. Un soldato afgano
è stato ucciso e un altro ferito gravemente. Un nostro caporal maggiore del
66° reggimento è stato salvato dal giubbotto antiproiettile. Il B1 fa un
passaggio radente per monitorare gli effetti del suo intervento: quel nucleo
talebano non farà mai più attentati. Due A 129 Mangusta del 5° Rigel
vigilano dall’alto che non si svelino altre presenze ostili. Atterriamo a
Bala Murghab. In un avanposto a 10 chilometri da qui è caduto Luca Sanna, di
Samugheo. Ci viene incontro il colonnello Luigi Viel, comandante del 151°,
col suo staff. L’espressione degli uomini dice “qui è dura; ma siamo
contenti che siate venuti a trovarci”. In realtà si tratta di un messaggio
più complesso ed intenso che però solo chi è sul posto può cogliere.
Briefing, visita alla base, incontro con il personale del reparto: “Grazie
Presidente per essere venuto fin qui in questi giorni di festa”. Poi di
nuovo in volo. Sotto di noi ancora spazi immensi, minuscoli villaggi e rade
greggi: non si capisce come facciano a sopravvivere gli uni e le altre. La
sera, ad Herat, visita al PRT gestito dal 3° Reggimento bersaglieri di
Teulada. Alcuni mesi fa un’autobomba ha devastato una parte della base che
si trova in pieno centro abitato: feriti un capitano medico e un caporal
maggiore. Il colonnello Giacinto Parrotta illustra le competenze del PRT e
riepiloga quanto è stato già realizzato a favore del popolo afgano: pozzi,
piccoli ponti, scuole, aeroporto civile di Herat ed altro. Più tardi visita
al governatore della provincia di Herat. Le sue profferte di amicizia e di
gratitudine verso gli uomini della SASSARI, la Sardegna e l’Italia sono
sincere. Più volte esprime la sua stima verso il generale Portolano che ha
impresso grande impulso alla missione. Segue la visita ad un’altra
personalità locale che esprime il suo desiderio di venire in Italia per
ringraziare quanti si sono fatti promotori di gesti di generosità, in
particolare verso i genitori di un volontario morto in Afghanistan: hanno
voluto che fosse edificata una scuola nel punto dove il loro figlio è stato
ucciso. “Vogliamo che la nostra amicizia duri anche quando non ci sarete
più” dice il padrone di casa. “Vogliamo venire in Sardegna per conoscere il
vostro popolo e la vostra terra”. Vengono impostati gli accordi preliminari
per fare gemellaggi tra loro e noi.
Al rientro a Camp Arena visita ai feriti del recente agguato. Il
giovanissimo soldato afgano è in coma farmacologico. Ha la testa ingabbiata
in una sorta di cilindro d’acciaio. La sua vita è appesa a un filo. Le
schegge di mortaio gli hanno devastato la scatola cranica, fracassato una
mano e quasi amputato un piede. Lo sguardo dell’infermiera americana dice
che non ce la farà. Il nostro volontario invece sta bene; una scheggia gli
ha colpito il giubbotto antiproiettile che a sua volta ha compresso
l’emitorace sinistro. “E’ andata bene” gli sussurra il generale Portolano.
“Alla grande,” risponde con un sorriso forzato il volontario abruzzese,
“mezzo palmo più in alto e….”. In una stanza attigua un macilento bambino
afgano adagiato su una barella ci sorride con sofferenza. Tutti gli facciamo
una carezza. Al suo fianco il padre, il viso magrissimo sotto un grande
turbante, si porta una mano sul cuore e accenna un inchino di saluto. I suoi
occhi dicono “la vita di mio figlio è nelle vostre mani e in quelle di
Allah”.
30 dicembre: le distanze tra Camp Arena e le basi di Farah, Bakwa e
Gulistan, nel settore più meridionale della regione dove opera il 152°, ci
costringono a una videoconferenza. Non c’è più tempo per arrivare laggiù.
Durante il collegamento di nuovo “Grazie Presidente per essere venuto in
Afghanistan”. Nelle varie visite da parte mia ho portato il saluto del
presidente dell’Associazione nazionale Brigata Sassari, il generale Elio
Cossu, di Salvatore Setzu, uno dei pochi bersaglieri del 3° Bersaglieri
sopravvissuto alla ritirata di Russia, di Barbara Pusceddu, sindaco di
Sinnai, paese di nascita del 151°, di Emilio Floris, “fanatico” della
Sassari, e di familiari di militari di ogni grado che operano laggiù.
L’ora di imbarcarsi sui C130 per il rientro si avvicina rapidamente. Resta
appena il tempo per visitare la cappella dove don Gianmario Piga ha
installato un Sant’Efisio cui ha affidato il compito di proteggere la
SASSARI. La brigata, in cambio, nella caserma Monfenera del 151° continuerà
a custodirne le reliquie. Per ultimo il saluto al “Circolo dei Sardi”
dedicato ad Alessandro Pibiri, del 152, caduto in Iraq. “Anime” del circolo
sono due personaggi eccezionali: Andrea Salvatore Alciator, decano degli
ufficiali della SASSARI e Alessandro De Martis. Soprattutto alle capacità
del signor De Martis e alla determinazione con cui il comandante della
SASSARI ha reagito alla nota azione terroristica condotta lo scorso 3
novembre 2011, è dovuto il merito per il salvataggio dell’intero team dei 31
civili operanti a Herat per il supporto logistico dei reparti.
Ci apprestiamo a salire per l’ultima volta sulle Toyota blindate che ci
porteranno in aeroporto. Vedo il Governatore scuotere la testa in un gesto
di disappunto. “Tutto bene, Presidente?” chiedo a mezza voce. Lui mi mette
sotto gli occhi un palmare. L’intero gruppo si arresta. Io leggo ad alta
voce: “Cappellacci ha deciso di sperperare soldi pubblici per farsi
propaganda andando in Afghanistan ….quando poteva adempiere ai suoi doveri
di cerimoniale con una breve video-conferenza”. Nel pezzo ricorrono anche
termini come “sceneggiata” e “propaganda personale”. Si parla anche di
sperpero di danaro pubblico. Tutto è legato alle dichiarazioni di due
consiglieri dell’opposizione. Una voce alle mie spalle esprime quello che
pensiamo tutti. “Ma come cazzo si fa a parlare così! Cerimoniale,
propaganda? Ma venissero a farsi una vacanza qui che cambierebbero idea”. Mi
volto e incontro lo sguardo duro di uno dei “vecchi” della SASSARI. Mi
rivolgo a lui perché il Governatore intenda: ”Ho paura che ci sia ancora
molta strada da fare prima che si abbia tutti il senso delle istituzioni e
il senso di appartenenza. Ma se è una questione di spreco di danaro la cosa
riguarda anche me. Al rientro a casa qualcuno dovrebbe rassicurare i
consiglieri Sanna e Sabatini che venendo qui non si è pesato sulle casse
dello stato, ma ci si è inseriti in attività operative programmate,
affrontando ognuno disagi e fatiche che, queste sì, ognuno ha pagato di
tasca propria, con entusiasmo e senza badare a spese”. L’ultima parola è del
“vecchio” sassarino: “Governatore, se può ritorni. Averla qui per noi è
stato un piacere. Dei cerimoniali, mi scusi, non ci frega un cazzo”.
24 ore ancora e sono di nuovo a Sinnai.
Buon anno a tutti, ma proprio a tutti, anche a chi non la pensa come il
“vecchio” della SASSARI.
Gen. D. (ris.) Nicolò Manca
Già 1° comandante sardo della Brigata SASSARI
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